“Hanno combattuto nel nome dell’unione, dell’unione che la loro squadra porta nel suo nome.”
Queste parole sono state pronunciate da un telecronista jugoslavo nel marzo del 1989, pochi secondi dopo che le ragazze dello Jedinstvo di Tuzla erano diventate campionesse europee di pallacanestro. Jedinstvo significa “unione”, uno dei termini che ha accompagnato la storia della Jugoslavia socialista e uno dei cardini su cui è stato costruito quel paese che solo due anni più tardi avrebbe iniziato la sua autodistruzione.
Da alcuni anni soffiavano venti diversi e non tutti vedevano ancora di buon occhio l’unione dei popoli jugoslavi. Mentre le formazioni nazionaliste conquistavano un consenso crescente in diverse zone del paese, Tuzla, un centro industriale del nord della Bosnia, resisteva strenuamente alle spinte divisive. Qui la propaganda nazionalista non ha mai trovato terreno fertile, né prima né dopo la guerra, in una città che resta ancora oggi uno dei pochi ambienti dove è possibile respirare uno spirito di sana convivenza.
La costruzione della squadra
A Tuzla, negli anni Ottanta, Mihajlo Vuković cercava di costruire una squadra di pallacanestro vincente. Originario di Kraljevo, nella Serbia centrale, era arrivato in città vent’anni prima per studiare all’università, ma aveva presto dedicato la sua vita al basket, giocando prima per lo Sloboda, dove era stato compagno di squadra di Mirza Delibašić, e ricevendo poi l’incarico di allenatore della sezione femminile dello Jedinstvo.
La costruzione della squadra era durata diversi anni, come avveniva nella maggior parte dei progetti sportivi jugoslavi di quel periodo, improntati sullo sviluppo di giovani talenti, individuati presto e inseriti in un sistema organizzato e curato nei minimi dettagli. Il sistema dello Jedinstvo prevedeva un’attenta ricerca delle giovani giocatrici adatte alla squadra nei territori circostanti Tuzla, in particolare nelle scuole, e coinvolgeva l’intero staff tecnico. Così, lo stesso Vuković, nel 1982, scoprì a Čelić, un piccolo paesino della zona, una ragazza quindicenne, alta 198 centimetiri, che non aveva mai toccato un pallone da basket in vita sua. Era Razija Mujanović e il suo esordio nella massima serie jugoslava avvenne nello stesso anno.
I primi successi
Al tempo, la generazione del 1989 era in piena costruzione: la playmaker Mara Lakić, scoperta appena quattordicenne pochi anni prima a Gradačac, un altro centro minore a nord di Tuzla, aveva conquistato il proprio spazio nel quintetto iniziale insieme alle ali Naida Hot e Stojanka Došić. Negli anni successivi a completare la squadra sarebbero arrivate Zorica Dragičević, Smilja Radjenović, Ilvana Zvizdić, Dragana Jevtić, Vesna Pođanin e Jadranka Savić.
Lo Jedinstvo cominciò a crescere verso la metà degli anni Ottanta, mentre Razija Mujanović emergeva come uno dei centri migliori del paese, grazie a una straordinaria capacità realizzativa e un’altezza che raggiungeva i 202 cm.
La squadra arrivò alla sua prima finale nazionale nel 1987, conquistando immediatamente il titolo dopo aver piegato la Stella Rossa di Belgrado. L’anno successivo ripeté l’impresa contro l’Elemes di Sebenico: lo Jedinstvo era al vertice della sua parabola e il focus passò allora alla Coppa dei Campioni, il massimo trofeo continentale, vinto nei cinque anni precedenti da una sola squadra, la Primigi Vicenza.
Il viaggio europeo
All’inizio della stagione, lo Jedinstvo non partiva con i favori del pronostico in campo europeo e affrontò due sfide di qualificazione per raggiungere la fase a gironi, battendo le israeliane dell’Elitzur Holon e le svizzere del Birsfelden. Seguì poi il girone con le migliori squadre d’Europa. Le ragazze di Tuzla vinsero 7 partite, perdendone 3: un risultato sufficiente per accedere alla finale contro la Primigi, che si sarebbe giocata a Firenze.
La squadra vicentina era solida, con tante giocatrici di esperienza, ma il cui momento d’oro era forse alle spalle. Mara Lakić ci ha raccontato che lo Jedinstvo Tuzla fu probabilmente sottovalutato dalle italiane, che non si aspettavano di incontrare una squadra giovane e dinamica, al picco del proprio gioco, guidata brillantemente da un tecnico con un grande futuro come Mihajlo Vuković e con una stella emergente come Razija Mujanović, che sarebbe diventata negli anni seguenti la giocatrice migliore in Europa e sarebbe stata accolta nella Hall of Fame della FIBA.
Anche a Firenze, Razija si rivelò essere un problema senza soluzione per la difesa della Primigi. Le trame jugoslave convergevano costantemente su di lei, il perno offensivo della squadra, che dominava il gioco sotto canestro. Mara Lakić trovava le linee di passaggio create dal veloce movimento senza palla delle compagne, che, come soluzione alternativa, liberavano al tiro dalla distanza Naida Hot e Stojanka Došić, che chiuse la partita con 19 punti. Razija, invece, tirò con un’incredibile 83% dal campo e mise a segno 35 punti, decisivi per il 74-70 finale che incoronò le ragazze di Tuzla come campionesse d’Europa.
Dopo la sirena finale, un gruppo di tifosi venuti da Tuzla per sostenere la squadra invase il campo raggirando i carabinieri italiani e dando inizio a una festa che si sarebbe conclusa solo qualche giorno più tardi nel Mejdan, lo storico palazzetto dello sport di Tuzla, dove le ragazze furono accolte dall’intera città. Mara Lakić ha ricordato con gioia quei momenti, raccontandoci che non fu scattata alcuna foto di squadra con il trofeo dopo la partita, perché fra la gioia generale le campionesse se ne scordarono. Forse perché il trofeo in sé passava in secondo piano di fronte alla felicità di quel giorno indimenticabile.
Foto: Jedinstvo Tuzla di Mara Lakić