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BALCANI: Peggiora la percezione della corruzione

“La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Questa frase potrebbe benissimo riassumere quanto emerso per i Balcani dall’ultima classifica annuale sulla percezione della corruzione stilata dalla ONG Transparency International e pubblicata lo scorso 28 gennaio.

Che la corruzione sia uno dei problemi principali della regione è cosa nota, tanto a livello europeo, con i continui richiami nei vari report stilati dalla Commissione, quanto a livello nazionale, con i governi che continuano a sventolare la bandiera della lotta alla corruzione come una priorità.

Eppure, nonostante i proclami, le dichiarazioni roboanti e le promesse elettorali, la situazione è tutt’altro che rosea. Ancora una volta, infatti, dai Balcani giungono brutte notizie. Non solo per il piazzamento dei singoli paesi ma soprattutto per il peggioramento dei risultati rispetto all’anno precedente. Le buone intenzioni sembrano quindi portare dritto verso l’inferno. Lo confermano, ad esempio, le ultime inchieste che hanno visto coinvolti uomini d’affari poco trasparenti e politici, in Serbia come in Albania, con il coinvolgimento diretto della Ndrangheta.

Chi sale e chi scende

Secondo il Corruption Perceptions Index 2020, i due paesi membri dell’Unione Europea, Slovenia e Croazia, sono gli unici che non fanno registrare alcun cambiamento rispetto all’anno scorso piazzandosi rispettivamente al 35esimo e al 63esimo posto. L’unico paese che mostra un discreto miglioramento è l’Albania che in un anno è passata dal 106esimo posto al 104esimo. Un risultato che, nonostante il leggero progresso, difficilmente può esser valutato come un cambio di svolta epocale nella lotta alla corruzione.

Per tutti gli altri paesi la situazione fotografata da Transparency International è impietosa e particolarmente grave. Il Montenegro, che per la prima volta dopo trent’anni è guidato da un governo senza la partecipazione del Partito Democratico dei Socialisti (DPS) del presidente Milo Đukanović, perde appena una posizione piazzandosi al 67esimo posto. Il risultato migliore tra i “non membri”.

A registrare un calo più significativo sono la Serbia (94esima) che perde tre posizioni come il Kosovo (104esimo) e la Macedonia del Nord che, scendendo di ben cinque posizioni, raggiunge la Bosnia ed Erzegovina al 111esimo posto. Proprio la Bosnia è tra i paesi al mondo a perdere più posizioni, ben 10 in appena un anno.

Al centro del report di quest’anno non poteva non esserci l’emergenza pandemica e le sue ricadute in termini di corruzione e clientele. La ricerca sottolinea come “una mancanza di trasparenza nell’allocazione delle risorse indebolisce l’efficienza delle risposte alle crisi” favorendo fenomeni corruttivi. Corruzione e pandemia si sono quindi fortemente intrecciate soprattutto in riferimento all’erogazione dei servizi sanitari, limitandone l’accessibilità e la qualità. Si calcola che nella sola Unione Europea, già prima della pandemia, il 28% dei casi di corruzione legati alla sanità abbiano riguardato l’approvvigionamento di apparecchiature mediche. Un fenomeno ulteriormente amplificato nell’ultimo anno a causa dell’aumento esponenziale della domanda legata alla pandemia.

Alcuni episodi significativi

Proprio su questo punto, anche nei Balcani non sono mancati alcuni episodi che hanno contribuito ad alimentare la sfiducia nelle istituzioni e ad aumentare la percezione della corruzione. Per quanto riguarda la Bosnia, ad esempio, la pandemia ha costretto le autorità, esattamente come successo in tutta Europa, ad allentare le norme relative all’acquisto di materiale sanitario permesso solo tramite appalto pubblico ad aziende già in possesso di una specifica licenza.

In deroga alle procedure classiche, lo scorso aprile, quando ancora la prima ondata pandemica non era stata del tutto superata, l’azienda bosniaca Srebena Malina era autorizzata all’importazione di cento ventilatori polmonari dalla Cina. Fin qui nulla di strano, se non fosse che l’azienda si occupava fino al giorno prima di lavorazione dei lamponi. I problemi veri derivavano però dall’impossibilità di utilizzare questi macchinari, perché non adatti a pazienti affetti da Covid-19, e dal loro costo ritenuto eccessivo dalla procura. La vicenda aveva provocato la reazione dei cittadini che avevano protestato davanti la sede della Federazione di Bosnia ed Erzegovina (l’entità a maggioranza croato-musulmana). A dicembre la procura ha accusato di “abuso d’ufficio, di aver accettato ricompense per influenza commerciale, riciclaggio di denaro e frode documentale” i vertici di Srebena Malian, il primo ministro della Federazione Fadil Novalić, il direttore della Protezione Civile Fahrudin Solak, e il ministro delle Finanze e vice primo ministro della Federazione Jelka Miličević. Secondo l’accusa, il costo dei respiratori era stato fortemente gonfiato per permettere agli accusati di ottenere benefici economici.

Il report inserisce poi la Serbia tra i paesi da guardare con maggiore attenzione in quanto tra quelli che hanno segnato l’arretramento più marcato rispetto al 2012. Tra i principali problemi relativi alla pandemia vengono segnalate le restrizioni all’accesso delle informazioni sull’acquisizione di dispositivi medici. A marzo infatti il governo aveva deciso di rendere riservati tutti gli appalti relativi all’acquisto di materiale sanitario. Una scelta condivisa anche dalle autorità albanesi. Secondo BIRN sono stati almeno 15 gli appalti pubblici che hanno goduto di un iter agevolato tra marzo e aprile. Il dubbio è che, tenendo nascosti gli impegni finanziari dello Stato, queste gare siano state usate per favorire fenomeni corruttivi e reti clientelari tra imprenditori e politici.

Al di là della pandemia, che ha contribuito ad alimentare i dubbi sulla trasparenza dei processi decisionali e sulle relazioni tra gruppi criminali e politica, la situazione sulla corruzione nei Balcani continua a essere preoccupante, come dimostrato in una recente ricerca della Southeast European Leadership for Development and Integrity (SELDI), una coalizione di organizzazioni civili contro la corruzione. La ricerca mette in evidenza il pericolo e grave livello di “state capture” che coinvolge i paesi della regione, sottolineando soprattutto i rischi derivanti dal controllo politico dei media, dalla corruzione della magistratura e dalla mancanza di imparzialità e procedure anticorruzione adeguate.

Il 2020 si è quindi rivelato l’ennesima occasione persa per i governi per dare vita ad una seria lotta alla corruzione, anche se appare molto improbabile che questa venga messa in atto proprio da coloro che ne usufruiscono maggiormente e cioè politici e gruppi imprenditoriali più o meno trasparenti.

Immagine: Pixabay

Chi è Marco Siragusa

Nato a Palermo nel 1989, ha svolto un dottorato all'Università di Napoli "L'Orientale" con un progetto sulla transizione serba dalla fine della Jugoslavia socialista al processo di adesione all'UE.

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