A metà gennaio, le tensioni legate alla costruzione di una moschea nel villaggio di Buknari, nell’ovest della Georgia, sono sfociate in scontri tra la comunità cristiana e quella musulmana. Sebbene la disputa sembra (per il momento) essersi risolta in maniera pacifica, questo nuovo episodio dimostra l’importanza e la gravità dei conflitti religiosi nel paese.
La moschea di Buknari
Il 12 gennaio, due esponenti della comunità musulmana sono rimasti feriti dopo essere stati colpiti alla testa con delle pietre nel corso di una rissa scoppiata a Buknari, una località situata nel comune di Chokhatauri in Guria. Il ministero degli Interni georgiano ha fermato una persona ritenuta responsabile dell’attacco.
La comunità musulmana, originaria delle zone montuose dell’Agiaria e della Guria, si è stabilita nel villaggio di Buknari oltre 70 anni fa e rappresenta attualmente la metà della popolazione locale (circa 500 persone). Nonostante le richieste avanzate dal 2012, alla comunità è stato fino ad ora negato il diritto alla costruzione di una moschea, tra ostacoli burocratici e una forte opposizione da parte dei residenti cristiani.
Lo scorso anno, la comunità musulmana ha quindi deciso di acquistare una casa nel villaggio, iniziando ad utilizzarla come luogo di culto. La decisione avrebbe comunque irritato la comunità cristiana di Buknari, che considera gli abitanti musulmani alla stregua di “coloni” in una “terra cristiana”, negando loro il diritto ad uno spazio di preghiera.
L’ONG Human Rights Education and Monitoring Center ha chiesto alle autorità georgiane di intervenire per calmare le tensioni, ricordando anche che l’organizzazione di uno spazio religioso all’interno di un’abitazione privata è un diritto garantito dalla costituzione, non richiede permessi particolari né è soggetta a regolamentazione di tipo legale.
In seguito agli scontri, lo scorso 15 gennaio le due comunità sembrano essersi riappacificate: la popolazione musulmana continuerà a svolgere le funzioni religiose nell’abitazione di sua proprietà.
Libertà religiosa in Georgia
Secondo la legge, lo stato georgiano è obbligato a prevenire ogni azione che ostacoli il diritto della popolazione musulmana (e delle altre minoranze religiose) di professare liberamente il proprio credo. Eppure, l’intolleranza e le violazioni della libertà religiosa – inclusa la persecuzione su basi religiose, la violenza fisica e verbale, e l’ingerenza nello svolgimento di cerimonie religiose – sono un problema sistemico in Georgia.
Gli scontri di metà gennaio a Buknari fanno seguito a tutta una serie di importanti violazioni dei diritti della comunità musulmana, che hanno avuto luogo tra il 2012 e il 2016 in diverse regioni della Georgia – e di cui avevamo scritto su EastJournal.
Questi conflitti, che hanno coinvolto le comunità ortodosse e/o le autorità georgiane, sono incentrati principalmente sul ruolo della religione in vari ambiti della vita pubblica e sulla costruzione di luoghi di culto. Come si legge in un rapporto del Tolerance and Diversity Institute, in sette casi su otto nessun colpevole è stato individuato e le inchieste si sono rivelate inutili.
Nel 2014, le autorità georgiane hanno istituito un’agenzia statale incaricata di regolamentare le questioni religiose nel paese. Eppure, secondo alcune organizzazioni della società civile, il mandato di questa istituzione sarebbe problematico poiché – invece che da una prospettiva basata sui diritti umani – questa considera la libertà religiosa in maniera funzionale alla sicurezza dello stato.
L’egemonia della Chiesa Ortodossa
La Georgia è una delle società più multireligiose del Caucaso del Sud. I musulmani (sunniti e sciiti) costituiscono il 13% della popolazione, mentre il 3% è fedele alla Chiesa Apostolica Armena. Un ulteriore 3% della popolazione è costituito da varie minoranze tra cui cattolici, yazidi, greci ortodossi, ebrei e tutta una serie di movimenti religiosi tra cui i testimoni di Geova.
Se dal punto di vista delle politiche ufficiali il governo georgiano si dichiara tollerante del pluralismo religioso, nella realtà dei fatti rimane leale all’istituzione religiosa dominante – la Chiesa ortodossa georgiana – e restio a contrastare la discriminazione subita dalle altre comunità religiose. La disparità di trattamento tra la Chiesa ortodossa e le minoranze religiose presenti nel paese è osservabile in diversi ambiti – dalla tassazione, al diritto alla gestione e all’acquisizione di proprietà statali, fino alla libertà di culto.
Come scrivevamo in precedenza, la “tolleranza” alla georgiana è quindi una tolleranza sui generis, basata su un rapporto malsano tra Chiesa ortodossa e potere politico, tra religione e nazionalismo.
Secondo numerosi osservatori della società civile, le politiche discriminatorie dello stato nei confronti delle minoranze religiose sarebbero diventate ancora più evidenti durante la crisi legata alla pandemia da covid-19. Conformemente alle restrizioni stabilite dal governo, i leader della comunità musulmana hanno sospeso i raduni di preghiera durante il Ramadan, mentre le autorità delle chiese apostolica armena e evangelica battista hanno deciso di celebrare la messa domenicale in streaming.
Al contrario, il Patriarcato ortodosso ha apertamente sfidato il governo tenendo le chiese aperte, anche durante le celebrazioni della Pasqua, senza rinunciare alla tradizionale cerimonia della comunione alla maniera ortodossa (con il prelato che usa un cucchiaio comune per distribuire il pane intriso di vino). Nonostante i rischi per la salute pubblica, le autorità hanno di fatto tollerato queste attività, dimostrando ancora una volta la propria connivenza nei confronti del potere religioso e politico del Patriarcato ortodosso.
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Immagine: Foto di Mustafa Elmas da Pixabay