In Albania, l’ultima polemica in ordine di tempo arriva dal mondo ambientalista, ma quel che è certo è che non è la sola, anzi. L’oggetto è l’agognatissimo o temutissimo – a seconda dei punti di vista – aeroporto internazionale di Valona, uno dei progetti più ambiziosi e importanti dell’amministrazione dell’attuale primo ministro, Edi Rama. Sarebbe il terzo per l’Albania, attualmente collegata verso l’estero solo tramite l’aeroporto di Tirana – oltre che da quello di Kukës, attualmente in via di ristrutturazione e destinato ai voli low cost – ma sulla sua utilità sembrano esserci più dubbi che certezze. Un progetto ambizioso, si diceva, ma anche il più criticato e, per certi versi, osteggiato tra quelli promossi dall’attuale governo albanese.
I timori per l’impatto ambientale
La protesta delle sigle verdi – 36 in tutto, da tutti i Balcani ma anche da Germania, Svizzera e Grecia – si è rinvigorita proprio nei giorni scorsi, focalizzandosi sull’inadeguatezza dell’area individuata per il suo sviluppo: un’area protetta di quasi duecento chilometri quadrati – quella di Vjose-Narte – nel sud-ovest del paese, vicino appunto alla città di Valona. Caratterizzata dalla presenza di aree umide d’acqua dolce, canneti, boschi e spiagge, è considerata uno degli ecosistemi più grandi e importanti dell’intero Mediterraneo. L’Unione Internazionale per la Protezione della Natura l’ha inserita tra le aree protette per la varietà della vegetazione e, soprattutto, perché qui vi trovano dimora quasi duecento specie diverse di uccelli, alcune delle quali a rischio d’estinzione.
La denuncia dei giorni scorsi non è altro che l’ultimo capitolo di una “saga” iniziata già all’indomani del via libera del parlamento albanese alla realizzazione dell’opera: era il febbraio del 2018 e in quell’occasione ad intervenire fu Gabriel Schwaderer, direttore della fondazione ecologista EuroNatur, che in una lettera aperta indirizzata al premier Rama già paventava “danni irreversibili all’ecosistema”. Ed è ancora con una lettera aperta che le associazioni ambientaliste si sono rivolte ora al governo albanese, così come ancora una volta a trasparire è il timore per l’impatto ambientale dell’infrastruttura. Ma la lettera dei giorni scorsi pone l’accento, in modo inequivocabile e diretto, anche su un altro aspetto fondamentale, quello normativo: secondo gli estensori del documento, infatti, il progetto violerebbe “il quadro giuridico ambientale del paese” e andrebbe, anche, contro la legislazione internazionale.
Apparentemente non una boutade campata per aria, sembrerebbe, visto che la conclusione della coalizione ambientalista – che arriva addirittura a chiedere l’annullamento dell’opera in quel sito – è perfettamente in linea con i risultati contenuti nell’ultimo rapporto stilato sull’Albania dalla Commissione europea (Progress Report 2020). Il rapporto UE, pubblicato il 6 ottobre dello scorso anno nell’ambito delle attività di monitoraggio delle politiche dei paesi candidati ad entrare nell’Unione, mette in luce proprio l’esistenza di “problemi cruciali nel campo della protezione ambientale” a causa della prevista realizzazione di grandi opere, citando esplicitamente l’aeroporto di Valona. La relazione evidenzia, anche, che il progetto è in conflitto con diverse convenzioni internazionali sulla protezione della biodiversità, sottoscritte e ratificate dall’Albania. Non un dettaglio, questo, ma un potenziale ostacolo sul percorso di integrazione del paese nella UE.
I rischi e i conti difficili da far tornare
Ma quella ambientale non è la sola perplessità ad aleggiare sull’opera. Più pragmaticamente sono anche ragioni strategiche ed economiche a suscitare più di un dubbio: se le motivazioni che fanno propendere favorevolmente al progetto sono evidenti – non solo indotto ma, soprattutto, incremento del turismo e miglioramento dell’import/export commerciale – le incertezze sono legate, al contrario, alle modalità con cui esso si sta concretizzando. In un rapporto del giugno dell’anno scorso, Il Centro per lo Sviluppo Internazionale dell’Università di Harvard evidenzia come condizione indispensabile per il “successo” dell’aeroporto la sua contestualizzazione in un piano di sviluppo integrato che preveda la realizzazione di opere ausiliarie che ne consentano l’ottimizzazione e la valorizzazione. Potenzialità che, viceversa, rischiano di rimanere inespresse, al punto da indurre i ricercatori statunitensi a definire l’aeroporto di Valona come “una scommessa affatto sicura che non implica un impatto [economico, di sviluppo, nda] significativo nel prossimo futuro”.
Ultima, ma non per ultima, la questione costi: a fronte di una stima di spesa di 87 milioni di euro l’esecutivo Rama ha deciso di seguire la strada della gara internazionale rinunciando all’ipotesi di finanziare l’opera con denaro pubblico. Ma per attrarre potenziali investitori privati ha anche deciso di includere nel bando di gara l’impegno ad assicurare al concessionario un reddito minimo garantito per i primi dieci anni che, secondo le stime, ammonterebbe a un totale di 138 milioni di euro. Un rischio – sono molte le incertezze sulla reale profittabilità del progetto – che ha fatto storcere il naso a chi, conti alla mano, sostiene che lo stato si sarebbe esposto di meno se avesse seguito la via maestra dell’investimento pubblico.
Sono molte le ombre, dunque, ma Rama e il suo governo tirano dritti, almeno apparentemente: tra rinvii e ritardi dovuti alla pandemia – l’inizio dei lavori per l’aeroporto di Valona era programmato per maggio 2020 – a novembre è stato aperto il terzo bando. Nell’annunciarlo la ministra delle infrastrutture, Belinda Balluku, aveva dato tempo un mese per la sottomissione delle offerte prevedendo di annunciare il vincitore entro gennaio, termine poi esteso a marzo. Resta ancora un mese, dunque: un mese per decidere, un mese – forse – per ripensarci.
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