A poche settimane dall’inizio della campagna per i vaccini contro il Covid-19 in tutto il mondo, nei Balcani a dominare sono la propaganda e la confusione, con pochi buoni risultati. Se il piano vaccinale dell’Unione Europea è partito nel complesso a rilento, subendo anche alcune battute d’arresto e facendo parlare già molti di fallimento, restringendo il campo ai Balcani la situazione appare (Croazia, Slovenia e Serbia a parte) desolante.
Guardando le classifiche che monitorano la somministrazione dei vaccini, infatti, si può notare che la Croazia ha vaccinato al 1 febbraio 82.000 persone, due dosi ogni 100 persone, mentre la Slovenia 76.000, con 3,69 dosi per 100 persone, una delle migliori percentuali di tutta l’Ue. A spiccare però è la Serbia, che ha vaccinato 437.000 abitanti, su 7 milioni di residenti, somministrando 6.38 dosi ogni 100 abitanti, il doppio della media europea e la seconda percentuale in tutta Europa, dietro solo al Regno Unito.
Il piano serbo
A Belgrado chi vuole vaccinarsi contro gli effetti del coronavirus, che nel paese ha fatto più di 7.000 morti dall’inizio della pandemia, ha l’imbarazzo della scelta. Non è un modo di dire: in Serbia sono al momento disponibili tre sieri diversi per immunizzarsi dal Covid-19, lo Pfizer/BionTech, il Sinopharm e lo Sputnik V. Da qualche giorno per i cittadini serbi è possibile anche scegliere, prenotandosi, quale farsi inoculare.
Il primo ad arrivare a Belgrado alla spicciolata è stato il vaccino di Pfizer: 4875 dosi il 22 dicembre 2020, 18.500 il 4 gennaio e 20.000 la settimana dopo. L’azienda che lo produce ha annunciato di lì a poco che avrebbe smesso di distribuire il vaccino finché non avesse aumentato la capacità produttiva. La Serbia aveva però già rivolto lo sguardo verso l’alleato cinese e non si è fatta trovare impreparata. Lo scorso 16 gennaio da Pechino è giunto un milione di dosi del vaccino Sinopharm, approvato anche negli Emirati Arabi, ma non nell’Ue. Sinopharm avrebbe un’efficacia tra il 79 e l’86% secondo i test.
A Belgrado sono arrivate anche 250.000 dosi dello Sputnik V, vaccino russo ancora non approvato dall’Unione europea, ma la cui efficacia secondo uno studio recente di Lancet è del 91,6%. La Serbia dovrebbe approvarlo a giorni, iniziando a somministrarlo la prossima settimana. L’approccio della Serbia sta facendo scuola tra i vicini e l’Ungheria è diventato il primo paese del blocco Ue ad approvare sia il vaccino cinese che quello russo.
“Il vaccino di Vučić”
Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha ringraziato il presidente cinese Xi Jinping per il rifornimento – anche con manifesti per le strade di Belgrado – e ha criticato invece l’Unione europea e il meccanismo Covax per la distribuzione dei vaccini, che il suo paese ha contribuito a finanziare. Il Covax, che è stato lanciato ad aprile 2020 ed è gestito dall’Oms e dall’allenaza per i vaccini Gavi, ha come obiettivo rendere disponbili gli stessi ai Paesi più poveri. Vučić ha paragonato però l’accesso ai vaccini in Europa all’affondamento del Titanic, lamentandosi che i paesi più ricchi venivano salvati, mentre quelli più poveri nei Balcani venivano lasciati annegare.
Al netto della poca efficienza dello schema Covax finora, Vučić, tramite la sua propaganda sta cercando di mostrarsi paladino dei paesi meno abbienti, al contempo rinsaldando legami con Russia e Cina. Internamente Vučić si è attestato il merito di tutta la campagna vaccinale e delle scorte di fiale, tanto che per le strade di Belgrado si sente parlare, tra il serio e il faceto, di “vaccino di Vučić”. La lotta al Covid-19 diventa però anche occasione di confronto geopolitico, con Belgrado che il 25 dicembre aveva annunciato un programma di vaccinazione nel nord del Kosovo. Nelle ultime settimane, il governo serbo si è così fatto carico di vaccinare le fasce più anziane della popolazione serba del Kosovo, entrando in conflitto con Pristina.
Gli altri stati
Il solo paese balcanico ed extra Ue oltre alla Serbia ad aver iniziato le vaccinazioni, anche se quasi un mese dopo, è l’Albania. La campagna di vaccinazione albanese è iniziata grazie alla donazione di 975 dosi di vaccino da un paese europeo di cui il premier Edi Rama ha dichiarato di non poter fare il nome. Rama ha poi criticato duramente la decisione dell’Ue di escludere i Balcani dal piano vaccinale europeo, definendola una scelta “moralmente e politicamente inaccettabile”, accusando l’Unione europea di “pensare solo a se stessa”. A Tirana per ora arriverà solo una fornitura di 500.000 vaccini Pfizer/BioNTech che il governo è riuscito a negoziare. 1.170 dosi di questo siero sono arrivate all’inizio della scorsa settimana e altre 40.000 giungeranno entro la fine di febbraio. In Kosovo è previsto l’arrivo di 500.000 dosi del vaccino americano nei prossimi mesi, con il governo che ha annunciato l’inizio delle vaccinazioni da febbraio. Anche il Montenegro sta ancora negoziando le proprie forniture di vaccini. Come ha riferito la ministra della sanità, Jelena Borovinić Bojović, il paese sta considerando anche le soluzioni cinese e russa, ma preferisce puntare in prima battuta sui vaccini “europei”.
Neppure la Bosnia, intanto, ha iniziato a immunizzare la propria popolazione ed è anzi uno dei pochi paesi al mondo che in un primo momento non ha neppure cercato di negoziare autonomamente forniture di vaccini anti Covid, soprattutto a causa della scarsa efficacia e al decentramento delle sue istituzioni. La Bosnia infatti si è affidata solamente al Covax e a possibili aiuti degli Stati Uniti fino a un paio di settimane fa, quando è stato annunciato un accordo per una fornitura di vaccino Pfizer/BionTech, i cui termini, tempi e quantità sono ancora sconosciuti. Nel frattempo il paese dovrà risolvere i problemi di trasporto e di conservazione del vaccino e cercare di convincere la popolazione a vaccinarsi: secondo una recente ricerca del Balkans in Europe Policy Advisory Group (BiEPAG), un bosniaco su due non sarebbe propenso a farlo. Allo stesso modo anche la Macedonia del Nord si è affidata solo al meccanismo Covax che garantirà al paese 2,4 milioni di dosi di vaccini, che basteranno a 1,2 milioni di cittadini, sui 2 milioni totali. La campagna non è ancora partita e nei prossimi due mesi Skopje riceverà poco più di 20.000 dosi.
L’inizio della campagna vaccinale sta dimostrando che per i paesi balcanici fuori dall’UE, Bruxelles ha fatto ben poco, e anche il meccanismo sovranazionale Covax non è ancora riuscito a garantire agli stati più piccoli considerevoli quantità di vaccini. In questo contesto sta prevalendo la linea di chi si è mosso prima e con accordi bilaterali su più fronti, come la Serbia, e questa situazione rappresenta per il momento un’altra occasione di integrazione persa dei Balcani occidentali in Europa.
Immagine: Tommaso Meo/East Journal