Dopo la fontana che canta, l’apoteosi di cemento di piazza della Repubblica e il cantiere infinito in via Kraljica Marija, Belgrado, la “progressista”, si è arricchita di un’altra grande, immensa opera pubblica: una statua in bronzo alta 23 metri del gran principe Stefan Nemanja, considerato il fondatore dello stato serbo, realizzata dallo scultore russo Alexander Rukavishnikov.
Il gusto kitsch del regime
Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Forse. O per lo meno ciò che è utile. La statua gigante – rinominata anche “Stefano sulla ghianda”, per via del piedistallo su cui poggia – sorge sulla piazza di fronte alla stazione ferroviaria. Anzi, ex. Già perché della vecchia stazione è rimasta solo la facciata dell’edificio storico e se dovete prendere un treno da o per la capitale serba difficilmente i belgradesi sapranno indicarvi sulla mappa dove è stata spostata la nuova stazione. Un altro successo dell’amministrazione “progressista” guidata dal vicesindaco Goran Vesic: la stazione che non c’è. Uno spostamento necessario per far spazio a “Belgrado sull’acqua”, cioè il nuovo quartiere in stile Dubai che sta prendendo forma – o deturpando, a seconda dei gusti – lungo le rive della Sava.
Ma torniamo a Stefano sulla ghianda. La posizione in cui si trova è infelice, dal momento che qui non vi arrivano più turisti, e sorge ai piedi di un’immensa mezzaluna pedonale, anche se questa non è zona di passeggio. Non importa. All’inaugurazione c’erano migliaia di persone, probabilmente richiamate dal profumo di sandwich e da una manciata di dinari, ovvero i gettoni di presenza che il partito di governo serbo promette ad ogni evento in cambio della fedeltà al satrapo (con l’aggiunta della minaccia di perdere il posto di lavoro, ma questo è un post che parla di monumenti, della deriva autoritaria serba in Europa non importa a molti). E non importa che lo stesso governo serbo lo scorso novembre abbia vietato i raggruppamenti sopra le cinque persone per contenere la pandemia; per l’inaugurazione dell’ennesima impresa del vicesindaco Vesic ogni assembramento è il benvenuto. I cittadini, d’altronde, erano curiosi di sapere come sono stati spesi i soldi pubblici. Quanti esattamente? Un segreto. L’amministrazione comunale ha infatti preferito non rendere pubblico fino al 2023 il costo della super ghianda e del suo ospite.
Spada o croce?
Uno degli aspetti di questa ordinaria faccenda dell’urbicidio progressista di Belgrado è ciò che Stefano Nemanja tiene in mano. Il fondatore della dinastia Nemanjic, il cui figlio Rastko sarebbe poi diventato San Sava e fondatore della Chiesa Ortodossa Serba, è solitamente raffigurato mentre tiene in mano una croce. E così doveva essere anche secondo l’idea originale del piccolo grande Vesic. Ma all’ultimo la croce è diventata una spada. La connotazione che assume un monumento di 23 metri cambia di molto se in mano regge una croce o una spada. E quest’ultima rappresenta la fondazione dello stato. Ma è anche un chiaro messaggio dell’attuale governo, che è una perfetta sintesi del nazionalismo decaduto degli ultimi vent’anni e che prova a risollevarsi dando gran mostra di sé.
Il Partito Progressista del presidente Aleksandar Vucic è infatti prodotto di una scissione del Partito Radicale del criminale di guerra Vojislav Seselj, ma con l’aggiunta di un europeismo di facciata che lo rende accettabile agli occhi dell’Occidente. Agli elettori, invece, bisogna ripetere il mantra della grandezza nazionale, e una spada in mano a una statua di oltre venti metri fa al caso. “È grande perché la nostra storia è grande”, ha dichiarato Vucic all’inaugurazione. Già, un leitmotif classico per ogni governo nazionalista che si rispetti. Ingigantire il proprio passato dal momento che si è incapaci di prospettare un grande futuro. Con buona pace di Vucic, che da mesi va scovando trimestri in cui l’economia serba cresce più di tutte in Europa per poter presentare il suo paese come il migliore del continente. La stessa amministrazione comunale doveva poi colmare il vuoto di promesse da quando si è insediata: la metropolitana, la “gondola” – ovvero una funivia che avrebbe collegato la fortezza Kalemegdan a Novi Beograd: non è mai stata costruita, ma nel frattempo hanno segato alberi secolari per fargli spazio – e infine un’altissima asta per un’enorme bandiera nazionale che avrebbe sventolato alla confluenza tra Danubio e Sava. Insomma, tutti progetti importantissimi per una capitale europea in cui molti quartieri non hanno ancora la rete fognaria e che è tra le città più inquinate al mondo.
Scenario macedone?
I ventitré metri di Stefan Nemanja non sono però qualcosa di nuovo nei Balcani. Né un record. Nel 2014, l’ex premier macedone Nikola Gruevski fece diventare Skopje la capitale europea del kitsch, con circa 40 nuove statue giganti – la cui rappresentazione o appropriazione storica suscitò infinite polemiche nella regione – incastrate alla bell’e meglio tra l’architettura ottomana e quella jugoslava post-terremoto. In quel caso, fu l’ultimo, ingombrante lascito di un regime – anch’esso nazionalista e “europeista” – che un anno dopo sarebbe crollato a colpi di scandali. Fu la fine del governo autoritario di Gruevski, che amava così tanto la sua Macedonia da scappare in Ungheria. E non è un caso che lo stesso Vucic abbia più volte commentato le proteste in Serbia temendo uno “scenario macedone”, cioè una sua dipartita.
Belgrado la progressista e Skopje come l’ha lasciata Gruevski si contendono ora il primato del kitsch a colpi di fallicismo: a vedere chi ce l’ha più grande, la statua – o il trimestre di performance economica rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Oggetti e dati che non contano nulla se non nel tronfio machismo di una società, quella serba, che ha smesso di crescere, e non solo economicamente, proprio da quando è diventata progressista, nel 2012.
E Vesic il vicesindaco, che è vice perché pure i quadri di partito si vergognano di dargli troppa visibilità, passerà alla storia come la persona meno amata dai belgradesi. I motivi, e i disagi quotidiani, sono più che evidenti. Eppure un omaggio, lo scorso dicembre, gli venne ironicamente tributato. Un razzo – così lo definì l’artista “Pijanista”, ma a vedere le immagini vi sembrerà di aver appena letto un refuso – illuminato e posizionato di fronte al municipio. Se non altro, prima di essere rimosso ha simboleggiato quello che molti cittadini della capitale sentono di aver ricevuto da questa amministrazione “progressista”.
Foto: Beoifo