Giovedì 22 gennaio, Azerbaigian e Turkmenistan, due dei cinque stati che si affacciano sul Mar Caspio, hanno firmato un Memorandum d’intesa che mette apparentemente la parola “fine” a una disputa nel settore energetico in corso da quasi trent’anni. L’accordo siglato ad Ashgabat, la capitale turkmena, tra il ministro degli Esteri azero Jeyhun Bayramov e il suo omologo turkmeno Rashid Meredov, sancisce l’impegno dei due paesi a perseguire congiuntamente l’esplorazione e lo sviluppo commerciale di un giacimento offshore di gas e petrolio. Non uno qualsiasi, ma quello che fino a pochi giorni fa ad Ashgabat veniva chiamato “Sardar” e a Baku “Kyapaz”, e che ora è stato rinominato “Dostlug”, che in entrambe le lingue significa “amicizia”. Proprio perché questa amicizia è stata suggellata improvvisamente e a sorpresa, l’accordo sul giacimento è stato definito dal presidente azero Ilham Aliyev, collegato in videoconferenza con quello turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov, un “evento storico che avvicinerà ancor più i due paesi e le due popolazioni”.
Guerra e pace
Scoperto dai geologi sovietici negli anni ’80, Sardar/Kyapaz è situato al confine marittimo tra i due stati e per questo è stato oggetto di controversie sin dai primi anni di indipendenza dall’Unione Sovietica. Per quanto la Convenzione sullo Status Legale del Mar Caspio firmata nel 2018 ribadisca la volontà dei paesi rivieraschi di demarcare una volta per tutte i confini dei propri settori, le negoziazioni portate avanti tra Azerbaigian, Iran e Turkmenistan non hanno finora raggiunto risultati significativi. Le tensioni in quello che in molti hanno definito “l’infuocato triangolo” del Caspio Meridionale avevano raggiunto il loro apice nei primi anni 2000, quando l’incapacità di raggiungere un accordo su un altro giacimento conteso (Araz-Alov-Sharg) aveva messo Baku e Teheran sul piede di guerra. Poco prima, nel 1997, sia Azerbaigian sia Turkmenistan avevano condotto attività di esplorazione sull’odierno “giacimento dell’amicizia”, affermando la volontà di firmare accordi con compagnie straniere per il suo sviluppo commerciale in barba al parere del vicino.
Da quel momento, diversi botta e risposta al veleno tra i due governi, consumatisi nel corso di vertici regionali e mediante dichiarazioni ufficiali, hanno avuto effetti nefasti. Da una parte, hanno finito per allontanare le compagnie straniere che si erano inizialmente interessate al giacimento e, di conseguenza, per lasciare intonso il tesoro energetico di Sardar/Kyapaz. Dall’altra, le relazioni fra i due stati si sono gradualmente deteriorate. Tale peggioramento nei rapporti bilaterali diede luogo alla chiusura dell’ambasciata turkmena a Baku nel 2001; ma soprattutto, secondo quanto riportato da alcuni rapporti resi noti da Wikileaks, al grave incidente del 2008, quando uno scambio di insulti personali tra i due leader parve annunciare burrasca, al punto che le cannoniere azere minacciarono di colpire le navi per l’esplorazione petrolifera inviate dalle compagnie accordatesi con il governo di Ashgabat.
Stando alle versioni ufficiali, le tensioni del 2008 sono da tempo alle spalle. Il giacimento di Dostlug, che secondo le stime potrebbe avere 50 milioni di tonnellate di greggio e una quota ancora non ben definita di gas, è visto da molti analisti come la chiave di volta per la realizzazione di uno dei progetti più ambiziosi nell’area del Caspio da un trentennio a questa parte: il Trans-Caspian Pipeline (TCP). Si tratta di un gasdotto sottomarino di 300 km, grazie al quale il Turkmenistan potrebbe trasportare fino a 30 miliardi di metri cubi all’anno di gas verso l’Azerbaigian. Una volta giunto al terminal di Sangachal, punto di stoccaggio ed esportazione situato a 45 km da Baku, il gas turkmeno raggiungerebbe i mercati europei grazie al Corridoio Meridionale del Gas, finalmente operativo nella sua interezza dalla fine dello scorso anno. Il progetto gode da tempo del supporto dell’Unione Europea, interessata alle risorse turkmene in ottica di diversificazione delle sue importazioni di gas, e degli Stati Uniti. Secondo l’opinione di alcuni analisti, la soluzione del contenzioso tra Baku e Ashgabat su Serdar/Kyapaz permetterà di iniziare i lavori sul TCP.
Luna di miele?
Guai però a farsi indurre in inganno dal miele delle dichiarazioni ufficiali. Ibrahim Ahmadov, uno dei portavoce della compagnia energetica statale dell’Azerbaigian (SOCAR), ha dichiarato che ulteriori metodi di esplorazione sismica e di perforazione esplorativa dovranno essere accordati. Sempre secondo le sue dichiarazioni, anche le questioni tecniche e commerciali legate al futuro sviluppo del giacimento sono ancora da discutere. Ciò fa presagire che, al di là della firma del memorandum, in realtà sia l’Azerbaigian che il Turkmenistan non abbiano ancora una strategia comune su come procedere. Non sarebbe una novità, visto che un simile memorandum era stato firmato nel 2018 tra Azerbaigian e Iran sulla disputa energetica di Araz-Alov-Sharg, senza però avere ancora portato a risultati tangibili.
Bisogna anche considerare che nel corso degli anni Azerbaigian e Turkmenistan hanno seguito approcci diversi riguardo al ruolo delle compagnie straniere nei rispettivi settori energetici. Se Baku si è mostrata più incline a stipulare PSA (Partnership Sharing Agreement), come nel caso del cosiddetto “Contratto del Secolo” del 1994 siglato con un consorzio di compagnie straniere guidate da British Petroleum, Ashgabat ha optato per la formula JVA (Joint Venture Agreement), concedendo rare eccezioni a ENI, CNPC e Dragon Oil. La differenza principale tra queste due modalità di accordo sta nel fatto che la prima assegna i diritti di esplorazione e produzione a una società estera in cambio di una quota dei profitti, mentre la seconda obbliga la compagnia straniera ad associarsi in condizioni di minoranza azionaria con la compagnia di Stato. Il Turkmenistan, che sin dai primi anni della sua indipendenza persegue una politica di rigido isolazionismo, ha sempre prediletto il secondo tipo di accordi e insiste perché tutte le attività nel settore energetico passino dalla compagnia statale Turkmengaz.
Si è parlato più volte, su EastJournal, dell’area che circonda il Mar Caspio in termini di investimenti energetici, progetti di infrastrutture e obiettivi geo-strategici. Se si prendono come oro colato le dichiarazioni dei governi locali, lo scenario che prende forma dopo la conclusione del conflitto in Nagorno-Karabakh e l’avanzamento della Turchia nello scacchiere eurasiatico si direbbe improntato a spirito nuovo e cooperativo. Benché ciò faccia pensare a una nuova era per il Caspio meridionale, tuttavia, è difficile credere che il Trans-Caspian Pipeline, dopo quasi un trentennio di tensioni, vedrà la luce. Il calo del fabbisogno di gas dell’Unione Europea, nonché le opposizioni di Russia e Iran al progetto, paiono ostacoli insormontabili. Semmai salta agli occhi che Baku, forte della vittoria militare sull’Armenia, dell’entrata a regime del Corridoio Meridionale del Gas e del sostegno di Ankara, è decisa a crearsi un’immagine di affidabilità agli occhi dei maggiori partner. Rimane da vedere se alla retorica del buon vicinato seguiranno i fatti.
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