Nei giorni scorsi Budapest ha formalizzato l’acquisto di due milioni di dosi del vaccino russo Sputnik V, sufficienti per un milione di persone, accusando la lentezza delle istituzioni UE. Dietro le dichiarazioni sull’importanza sanitaria dell’operazione i dubbi però rimangono: la maggior parte delle dosi arriverà nel paese a marzo, proprio quando la distribuzione europea dovrebbe regolarizzarsi.
“Gli ungheresi hanno bisogno di vaccini, non di spiegazioni”
Se il primo settembre del 2020 il totale dei decessi causati dal Covid-19 in Ungheria era poco più di 600, in pochi mesi il numero dei morti ha raggiunto 12.000. Un vero e proprio trauma per il paese che, uscito quasi indenne dalla prima fase, ha pagato un conto salato a causa della mancanza di restrizioni durante l’estate e delle deficienze della sanità magiara. Bruxelles diventa così nuovamente capro espiatorio a Budapest, unico colpevole cui addossare le colpe dei ritardi nella distribuzione del vaccino, permettendo a Viktor Orbán di scansare le critiche dovute all’assenza di un piano strategico.
Nelle sue dichiarazioni del venerdì su Kossuth Rádió, il primo ministro ha indicato come modelli virtuosi Israele e soprattutto il Regno Unito i quali, liberi da alleanze, si sono potuti muovere autonomamente sul mercato farmacologico, approvando in anticipo il vaccino AstraZeneca e iniziando la sua diffusione su vasta scala.
Meglio soli?
Unica possibilità per evitare una corsa all’acquisto fra i diversi stati membri, Bruxelles ha invece proposto, già nel giugno del 2020, una gestione centralizzata della distribuzione dei farmaci, unendo ai vantaggi di acquisto collettivo e investimento preventivo, il ricordo della pessima gestione della campagna vaccinale contro l’influenza suina del 2009-2010, lasciata alle singole nazioni.
Dopo aver stretto accordi preliminari con varie case farmaceutiche, il 21 dicembre del 2020 l’EMA (Agenzia europea per i medicinali) ha concesso l’autorizzazione per la distribuzione del vaccino BioNTech-Pfizer, rapidamente seguito dal vaccino Moderna, mentre altri contratti con AstraZeneca, Sanofi-GSK, Johnson & Johnson e CureVac, entreranno in vigore qualora i diversi farmaci ricevano l’approvazione da parte dell’EMA.
La strategia di Bruxelles è ambiziosa: la Commissione Europea ha comunicato che entro marzo dovrebbe essere vaccinato almeno l’80% della popolazione anziana (over 80) e degli operatori sanitari e, entro l’autunno, il 70% della popolazione adulta. Un obiettivo complicato dalle difficoltà nella distribuzione e produzione, ma ancora possibile secondo il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel.
E la politica?
Se l’acquisto da parte di Germania e Danimarca di dosi extra del vaccino BioNTech-Pfizer aveva scatenato le polemiche e costretto Bruxelles a richiedere forniture supplementari, Orbán ha invece aperto una nuova breccia nel fronte europeo, promettendo la diffusione di un farmaco non ancora approvato dall’agenzia europea.
Una mossa possibile qualora Budapest invochi la procedura di emergenza, e che arriva in un momento di crisi dovuta ai ritardi nella distribuzione dei vaccini.
Se anche Angela Merkel ha espresso parere positivo per un accordo con la Russia sullo Sputnik-V, una volta che l’EMA avrà concluso le necessarie analisi, Orbán gioca invece d’anticipo. Budapest aveva ricevuto, già alla fine di novembre, dosi sufficienti per 3.000 individui, con l’obiettivo di portare a termine e verificare la validità del rimedio. Ciononostante, i risultati dei test su questi campioni non sono noti, e l’acquisto del vaccino, accusa il Népszava, non sarebbe basato su analisi locali, ma sulla documentazione prodotta da Mosca.
Per Budapest il vantaggio è duplice: contro l’immobilismo UE, Orbán dimostra che le singole nazioni sono più rapide nel risolvere i problemi, riuscendo ad acquisire una dose sufficiente a immunizzare oltre il 10% della popolazione, avvicinandosi sensibilmente all’obiettivo del 70%, necessario, secondo il primo ministro magiaro, affinché il paese ritorni alla normalità (attualmente è l’1,4%).
I dubbi sono invece legittimi sulla reale necessità di questo accordo: nonostante le lamentele del governo, la situazione sanitaria a Budapest è sotto controllo, e i medici magiari dispongono ancora di 20.000 dosi di vaccino da sfruttare (sulle 165.000 arrivate), e con nuove forniture in arrivo. Senza dubbio il fattore tempo annulla i rischi per i magiari: Péter Szijjártó, ministro degli Esteri, ha annunciato che il vaccino sarà distribuito soprattutto da marzo, quando cioè a Budapest dovrebbe regolarizzarsi l’afflusso anche del vaccino europeo, periodo sufficiente affinché si concludano le analisi che chiariranno l’effettiva validità del vaccino russo.
E allora chi vince? Sicuramente Mosca può esultare: in un momento estremamente delicato per il paese, alle prese con lo scandalo seguito all’arresto di Aleksej Naval’nyj e allo scoppio di proteste interne, il vaccino rappresenta la migliore pubblicità possibile, forte della sua efficacia al 95% – secondo i dati locali. Un vaccino che ha permesso alla Russia di stringere accordi già con diversi paesi dell’America latina e dell’Asia, e che, in attesa di valutare la sua effettiva efficacia, si dimostra un ottimo veicolo di penetrazione anche in Europa.
Immagine: ema.europe