Domenica 24 gennaio, la Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS) e la Comunità Islamica dei Bosniaci in Italia (CIBI) hanno organizzato una conferenza online in occasione della giornata della memoria per le vittime dell’Olocausto. All’incontro hanno partecipato diversi esponenti della comunità ebraica europea e italiana, che hanno dialogato sul tema della memoria e del dialogo interreligioso con diversi rappresentanti dell’Islam europeo e italiano. L’incontro è stato moderato dai rappresentanti della COREIS, Yahya Pallavicini e Halima Erika Rubbo.
L’esempio della Bosnia-Erzegovina per un dialogo di pace
Il presidente della CIBI, Nermin Fazlagić, si è attivato assieme alla COREIS per portare alla conferenza diversi rappresentanti dell’Islam bosniaco in Europa, tra cui l’esperta OSCE Đermana Šeta e gli imam Senaid Kobilica, Nedžad Grabus e Ahmed Tabaković. L’impegno della CIBI nella commemorazione delle vittime dell’Olocausto deriva dal naturale bisogno di ricordare le vittime di una delle più grandi tragedie nella storia dell’umanità. Ma la forte vicinanza della comunità bosniaca a questa memoria ha origine, nelle parole di Fazlagić, anche dalla stretta collaborazione fra queste comunità religiose nella difesa della memoria delle vittime di tutti i genocidi, incluso quello di Srebrenica, che ha colpito proprio i musulmani della Bosnia-Erzegovina.
Lungo il corso degli interventi è emersa questa articolazione fra l’unicità storica dell’Olocausto e il riconoscimento di tutti i genocidi perpetrati lungo la storia, quali prodotti della stessa violenza e degli stessi metodi che hanno creato il tragico spartiacque nella metà del secolo scorso. Si tratta di un elemento nuovo nel discorso globale, proprio come nuovo è il fatto che una comunità musulmana si faccia promotrice di un incontro per la memoria della Shoah, come sottolineato dal rabbino David Rosen nel suo intervento.
Il lungo lavoro della COREIS nel campo del dialogo interreligioso ha raccolto in questa conferenza un frutto importante e non è casuale il fatto che il principale co-organizzatore della stessa sia stata la comunità dei musulmani bosniaci in Italia, che ha alle spalle un’importante collaborazione, in Bosnia-Erzegovina, fra ebrei e musulmani nel ricordo dell’Olocausto e, più di recente, del genocidio di Srebrenica.
Il chazan di Bosnia-Erzegovina, ossia il cantore che guida le preghiere cantate delle congregazioni ebraiche, Igor Kožemjakin, ha sottolineato come l’impegno della comunità musulmana nel ricordo dell’Olocausto non rappresenti affatto una novità in Bosnia-Erzegovina, dove la memoria dei tragici fatti avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale è da tempo condivisa. Il chazan ha anche spiegato che gli ebrei in Bosnia-Erzegovina sono oggi solo qualche centinaio, eredi di una comunità in passato grande e influente, duramente colpita durante la Seconda Guerra Mondiale dalla persecuzione degli ustaša, il movimento filonazista croato, attivo al tempo anche in Bosnia-Erzegovina.
L’imam principale Ahmed Tabaković, dopo aver espresso il suo profondo dolore per ogni vittima dell’Olocausto, ha ricordato uno dei tanti episodi che vedono le diverse comunità religiose della Bosnia-Erzegovina coinvolte in un rapporto di profonda unione. Si tratta della vicenda della Haggadah di Sarajevo, un antico manoscritto miniato che narra l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto, salvato dai nazisti grazie al coraggio del cristiano Jozo Petrović e del musulmano Derviš Korkut. Anche la europarlamentare maltese Roberta Metsola, intervenuta con un videomessaggio da Bruxelles, ha ricordato un episodio relativo alla Seconda Guerra Mondiale in Bosnia-Erzegovina, citando la storia di Mustafa e Zejneba Hardaga, riconosciuti in seguito come Giusti tra i Popoli per aver salvato la famiglia di Jozef Kabilio.
Una storia di umanità e coraggio che ritroviamo in ogni parte d’Europa. In questo senso non fa eccezione l’Albania, altro Paese a maggioranza musulmana, dove gli ebrei dei Balcani hanno potuto trovare rifugio e scampare dalle persecuzioni durante il secondo conflitto mondiale, come ricordato dal rabbino capo di Roma Riccardo di Segni.
La lotta all’antisemitismo e all’islamofobia
Questa linea di vicinanza e comunione fra la memoria della Shoah e quella di altri tragici eventi, come quelli che hanno caratterizzato la guerra in Bosnia, è stata promossa da diverse comunità ebraiche nei decenni passati e perseguita attivamente da molti sopravvissuti all’Olocausto, tra cui Simon Wiesenthal, Menachem Rozensaft ed Elie Wiesel. L’esempio proveniente da un importante frammento di vera convivenza in Bosnia-Erzegovina e dall’impegno per il dialogo interreligioso può gettare un seme fecondo perché questa non sia che la prima di una lunga serie di incontri di dialogo e amicizia, che portino lentamente verso la costruzione di una società migliore.
Molti interventi, fra cui quello della presidente dell’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) Noemi di Segni, hanno infatti sottolineato la preoccupante crescita di antisemitismo e islamofobia nella società occidentale, connessi in particolare con l’ascesa di un nuovo tipo di discorso d’odio, comune a diversi movimenti di destra. L’esperta Đermana Šeta ha presentato le linee guida OSCE sui crimini di odio contro ebrei e musulmani, realizzate da un gruppo di persone di diverso orientamento religioso con l’obiettivo di favorire e diffondere comportamenti consapevoli.
Partendo dal fondamentale elemento della memoria condivisa dell’Olocausto è possibile ritrovarsi vicini nel dolore e nel ricordo di tutte le vittime innocenti, costruendo su questo riconoscimento un nuovo futuro, che spazzi per sempre, proprio a partire dalla tragedia, il germe che ha portato alla stessa.
Foto: coreis.it