Il 21 gennaio, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha riconosciuto la Russia responsabile di diverse violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo compiute ai danni di cittadini georgiani nelle settimane successive alla fine della guerra dell’agosto 2008. Nella sentenza, il tribunale di Strasburgo ha affermato il “controllo effettivo” russo sull’Abcasia e l’Ossezia del Sud, un passaggio che ha già sollevato una grande eco mediatica in Georgia.
La sentenza e le responsabilità di Mosca
La Georgia ha presentato causa contro la Russia alla CEDU l’11 agosto 2008, un giorno prima della firma dell’accordo di cessate il fuoco che ha messo fine al conflitto tra Mosca e Tbilisi. Il contesto era quello della “guerra dei cinque giorni” dell’agosto 2008: dopo mesi di ostilità, in risposta a un attacco dell’artiglieria georgiana sulla capitale osseta, Tskhinvali, nella notte tra il 7 e l’8 agosto 2008, l’esercito russo lanciò un’offensiva che si concluse con l’occupazione di ampie porzioni di territorio georgiano adiacenti i confini dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud, le due repubbliche separatiste internazionalmente riconosciute come parte della Georgia.
Nell’appello, Tbilisi accusava Mosca della violazione, sia durante che dopo la guerra, di otto articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: il diritto alla vita, la proibizione della tortura, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto a un ricorso effettivo, la protezione della proprietà privata, il diritto all’istruzione e la libertà di movimento.
La Corte ha riconosciuto Mosca non responsabile delle violazioni avvenute durante i cinque giorni di guerra, considerando che il contesto rendeva impossibile il “controllo effettivo” russo sull’area colpita dal conflitto. Una volta che tale controllo è stato esercitato (a partire dal 12 agosto), il tribunale ha dimostrato che l’esercito russo ha passivamente osservato la “sistematica campagna di incendi e saccheggi dei villaggi georgiani”, gli abusi contro i civili e, in particolare le esecuzioni sommarie perpetrate dalle milizie ossete. Tale passività, secondo la Corte, implica una “tolleranza ufficiale” delle violenze.
Allo stesso modo, l’esercito russo non è intervenuto per salvaguardare i diritti di 160 civili georgiani (per la maggior parte, donne e anziani) detenuti per circa quindici giorni (fino al 27 agosto 2008) dalle autorità ossete nei sotterranei del ministero degli Interni a Tskhinvali e quelli di una trentina di prigionieri di guerra georgiani vittime di tortura.
Il fatto che, negli anni dopo la guerra, Abcasia e Ossezia del Sud non abbiano autorizzato il rientro di migliaia di georgiani nelle proprie case, è stato considerato ugualmente una responsabilità della Russia, visto l’effettivo controllo del Cremlino sulle due regioni separatiste. Mosca è stata, infine, riconosciuta colpevole di non aver condotto indagini adeguate sugli eventi avvenuti durante e dopo la guerra e per essersi rifiutata di collaborare con la CEDU nel corso dell’inchiesta condotta dal tribunale di Strasburgo.
Le reazioni delle parti
Pur non avendo conseguenze dirette, per la Georgia la sentenza rappresenta il raggiungimento di un importante obiettivo di politica estera. Dalla fine del conflitto del 2008, infatti, Tbilisi si batte affinché Abcasia e Ossezia del Sud vengano, a tutti gli effetti, riconosciute come parti della Georgia occupate dalla Russia nella giurisdizione internazionale e le loro autorità come fantocci in mano russa. Mosca, invece, ha riconosciuto – insieme ad altri quattro paesi membri dell’ONU – l’indipendenza delle due repubbliche, giustificando la decisione, e l’intervento militare nel 2008, come necessari per difendere le loro popolazioni dall’aggressione georgiana.
In questo contesto, nel corso degli anni, la Georgia ha presentato altre due cause contro la Russia alla CEDU. Il primo caso, riguardava l’espulsione sommaria di 2.300 cittadini georgiani dal territorio russo e si è concluso con una doppia condanna per Mosca nel 2015 e nel 2018. Il secondo caso, invece, concerne la morte nel 2018 di un cittadino georgiano detenuto dalle autorità dell’Ossezia del Sud. La sentenza del 21 gennaio lascia pensare che la Russia verrà condannata ancora, sulla base del principio del controllo effettivo sulla regione separatista.
L’ultimo pronunciamento della Corte è stato descritto come “una nuova tappa nella lotta per la de-occupazione del paese” dal primo ministro georgiano, Giorgi Gakharia, che ha anche promesso un nuovo piano governativo al riguardo. Da parte russa, invece, il ministero della Giustizia si è definito in disaccordo sulla parte della sentenza che definisce le responsabilità russe dopo il 12 agosto e ha dato grande enfasi al fatto che la Russia sia stata giudicata non responsabile di quanto avvenuto nei cinque giorni di guerra. La reazione russa è stata per il momento moderata se considerato che in passato Mosca era arrivata a minacciare l’abbandono della CEDU, viste le tante sentenze percepite come “anti-russe”.
Diritti in secondo piano
La sentenza del 21 gennaio della Corte di Strasburgo risponde all’interesse di tutelare i diritti delle popolazioni di territori contesi ed è in linea con altri pronunciamenti che riguardavano Cipro Nord, il Nagorno-Karabakh e la Transnistria. Gli stati però generalmente usano questi casi per perseguire i propri obiettivi di politica estera più che per difendere i cittadini.
L’immagine che la Georgia vuole promuovere dei conflitti in Abcasia ed Ossezia del Sud è limitata e semplicistica. Se è vero che le due repubbliche sono a tutti gli effetti sotto il controllo di Mosca, non bisogna ignorare l’ostilità delle loro popolazioni alla sovranità georgiana, sfruttata dal Cremlino per indebolire Tbilisi. Riconoscere i responsabili delle violazioni dei diritti umani nelle due repubbliche non significa che si possa iniziare a parlare genericamente di “de-occupazione” senza intraprendere un dialogo e una riconciliazione sinceri con le popolazioni delle repubbliche de facto.