Omicidio Rocchelli, confermate le responsabilità ucraine

Sono state depositate le motivazioni della sentenza di assoluzione per Vitaly Markiv, soldato della Guardia Nazionale ucraina imputato (e condannato in primo grado) per l’omicidio del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli, ucciso il 24 maggio 2014 da colpi di mortaio mentre stava realizzando un reportage nel Donbass.

La sentenza, che assolve Markiv, ricostruisce tuttavia gli eventi stabilendo alcune verità giudiziarie. La più importante è che la responsabilità della morte di Rocchelli è comunque da cercarsi nella condotta dei reparti ucraini e non nelle milizie filorusse.

Brevissimo riassunto

Andrea Rocchelli, classe 1983, era un fotoreporter con esperienza nelle zone di crisi. Le sue foto hanno documentato le primavere arabe, il conflitto in Libia, le violazioni dei diritti umani nel Caucaso e in Asia centrale. Il 24 maggio del 2014 è stato ucciso da colpi di mortaio ad Andreevka, nelle vicinanze di Slovjans’k, nella regione del Donbass, teatro di scontri tra le milizie filorusse e le formazioni militari ucraine. Insieme al fotoreporter è morto anche Andrej Mironov, attivista dei diritti umani che gli faceva da interprete. Con loro era anche William Roguelon, fotoreporter francese rimasto ferito nell’attacco.

Il processo

Secondo le autorità italiane l’attacco non è stato accidentale, da qui le indagini e il processo. Indagini difficili, sia per il tempo trascorso dai fatti, sia per la poca collaborazione offerta dalle autorità ucraine, che hanno infine condotto all’arresto di Vitaly Markiv, italo-ucraino e vice-comandante della Guardia Nazionale. Lo stato ucraino è stato citato in giudizio in qualità di responsabile civile.

Sui giudici è gravata l’accusa (mossa dall’avvocato difensore e sostenuta da Emma Bonino e dal Partito Radicale) di aver istruito un processo politico ispirato da sentimenti o interferenze filorusse, condotto perlopiù su elementi indiziari. Il ministro degli Interni ucraino, Arsen Avakov, già capo della Guardia Nazionale all’epoca dei fatti, con alle spalle un mandato di arresto spiccato dall’Interpol prima di iniziare la carriera politica, ha presenziato alle udienze del processo.

Il 12 luglio 2019 la corte penale di Pavia in primo grado ha giudicato Vitaly Markiv colpevole per concorso di colpa nell’omicidio di Rocchelli e Mironov e lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Lo stato ucraino è stato anch’esso giudicato colpevole nella medesima sentenza quale responsabile civile.

Il 3 novembre 2020 la sentenza d’appello del Tribunale di Milano ribalta la sentenza di primo grado e assolve Vitaly Markiv per non aver commesso il fatto. Markiv viene scarcerato e torna in patria da eroe. Finalmente, il 20 gennaio 2020, vengono depositate le motivazioni della sentenza di assoluzione che inquadrano meglio i fatti.

Perché è stato assolto Markiv? Ragionevole dubbio e vizio di forma

L’assoluzione di Markiv si deve a due ordini di ragioni. Anzitutto, si legge nelle motivazioni della sentenza, che “risulta non sufficiente la prova con riguardo alla circostanza che Markiv fosse in servizio proprio nell’orario pomeridiano in cui i fotoreporter venivano uccisi o feriti”. La corte, infatti, è a conoscenza dei turni di servizio in quanto forniti dallo stesso Markiv, ma stabilire che egli fosse presente al momento dell’attacco non è possibile oltre ogni ragionevole dubbio (vedi immagine qui accanto).

Inoltre le motivazioni spiegano che “il proscioglimento deriva dal vizio di forma di alcune testimonianze e, più precisamente, dalle testimonianze della difesa nella persona dei superiori militari dell’imputato, Matkiwsky e Antonishak, nonché dei suoi compagni d’arme chiamati a deporre”.

Come ricordano i legali della famiglia Rocchelli: “erano state le loro parole a precisare il ruolo e la posizione dell’imputato, finendo per accusarlo anziché difenderlo”. Ecco allora che si profila un vizio di forma a causa del mancato avvertimento ai testimoni che, oltre a potersi avvalere della facoltà di non rispondere, le loro dichiarazioni avrebbero potuto coinvolgerli come responsabili.

Le colpe dell’Ucraina

Resta il fatto che quelle dichiarazioni ci sono. E resta la ricostruzione dei fatti prodotta dall’unico superstite, il fotoreporter francese Roguelon, avvalorata dalle foto dello stesso Rocchelli rinvenute nel 2016, che ben descrivono il luogo e aiutano a ricostruire la dinamica dei fatti. E, ribadisce la sentenza, i fatti sono chiari: i colpi sono arrivati dalla collina Karachun, collina su cui si trovavano le truppe della Guardia Nazionale ucraina. Si legge nella sentenza che “l’attacco ha avuto luogo senza alcuna provocazione e offensiva né da parte loro (dei fotoreporter, nda) né dei filorussi”. Così, a pagina 31, la corte ribadisce che “la ricostruzione della vicenda così come operata nel capo d’imputazione consente alla Corte di affermare che lo Stato Ucraino è stato ab origine  correttamente citato in giudizio in qualità di responsabile civile“.

Illustrazione di Mauro Biani (il Manifesto, 2017)

Nel posto sbagliato?

Il Tribunale, quindi, decide di non acquisire (come richiesto dalla difesa) il documentario Crossfire (inizialmente intitolato The wrong place) di Cristiano Tinazzi in quanto quest’ultimo: “Non è un teste oculare dei fatti e nulla conosce degli stessi per diretta esperienza” (pag.25 della sentenza). Il documentario, che ricostruisce da un punto di vista giornalistico i fatti intorno alla morte di Rocchelli, è uscito finora in estratti volti a promuovere la raccolta fondi per la realizzazione dello stesso. Crossfire, realizzato da un gruppo internazionale di giornalisti indipendenti, nasce dalla volontà di offrire una ricostruzione dei fatti non inquinata dalla propaganda di parte. Tuttavia, malgrado non ancora del tutto pubblicato, il film viene già da alcuni ritenuto di parte inserendosi in un dibattito fortemente polarizzato che trascende la morte di Rocchelli. Un dibattito a tratti ideologico, sovente venato di nazionalismo, spesso settario e parziale, che ha fatto da sfondo alla vicenda processuale e che insiste sempre sullo stesso tema: chi ha ragione e chi ha torto, Mosca o Kiev? Rocchelli è morto perché si è disgraziatamente trovato nel posto sbagliato, come sembra suggerire il titolo del film, oppure, come dice la sentenza, il suo omicidio non è stato accidentale? Qual è il posto giusto di questa morte? A quale parte in conflitto va ascritta? Il problema, si capisce, è politico prima che giudiziario.

Un problema politico

Se non è possibile condannare Markiv perché non si è certi oltre ogni ragionevole dubbio che egli sia in qualche modo coinvolto o responsabile della morte di Andrea Rocchelli, è invece possibile stabilire che la responsabilità di quella morte sia da ascriversi agli ucraini i quali hanno colpito il gruppo di fotoreporter volontariamente e senza essere provocati. Questa, in sostanza, la verità giudiziaria. Una verità, quella della corte, che non piacerà a coloro che difendono la causa ucraina e che verrà quindi ricusata, giudicata di parte, frutto di influenze filorusse. Tuttavia è un fatto che i colpi di mortaio che hanno ucciso Rocchelli siano arrivati dalle posizioni ucraine, la famigerata collina Karachun, come confermato dallo stesso Roguelon.

Il problema è che l’Ucraina, paese aggredito, occupato dalle truppe russe e dalle milizie filorusse, è certo una vittima del conflitto. Ma il suo essere vittima non giustifica e non mette al riparo da eventuali abusi, crimini di guerra e responsabilità. Tra queste, la morte di Andrea Rocchelli.

L’immagine di copertina è tratta dal Kiyv Post e mostra un cartellone per la liberazione di Vitaly Markiv esposto a Kiev. La vignetta inserita nel testo è di Mauro Biani (il Manifesto, 2017) ed è stata tratta dalla rete. 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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