rifiuti Drina

BALCANI: L’isola (di rifiuti) sulla Drina

A inizio gennaio hanno fatto il giro del mondo le immagini di una vera e propria isola di rifiuti sul fiume Drina, vicino alla città di Višegrad (Bosnia-Erzegovina) dove sorge il famoso ponte le cui vicende sono narrate da Ivo Andrić ne Il ponte sulla Drina. In uno dei capitoli iniziali, lo stesso Andrić parlava della «verde e veloce Drina, fiume montano, che si intorbida spesso».

In secoli di storia, sono stati diversi i motivi per cui le acque del fiume si sono intorbidite. Ai fenomeni naturali, dovuti alla presenza di rive sabbiose e argillose, si è spesso sostituita la mano dell’uomo. Capitò proprio durante la costruzione del ponte, nel XVI secolo. Ma capitò anche più di quattrocento anni dopo quando, durante la guerra del 1992-1995, nella Drina venivano buttati i corpi di centinaia di civili fucilati dalle milizie di Arkan. Negli ultimi anni, invece, a mettere a repentaglio l’equilibrio naturale del fiume ci hanno pensato l’inquinamento e l’incuria.

La biodiversità del fiume

Il fiume scorre per 346 km lungo tre paesi della regione: Montenegro, dove ha origine, Serbia e Bosnia-Erzegovina. La Drina, principale affluente della Sava, rappresenta uno dei più preziosi bacini di biodiversità di tutta Europa. Secondo un studio del 2017 della Banca Mondiale, vi si trovano oltre 130 tipi di piante, tra cui l’abete serbo e varie specie di campanula, 50 specie di pesci, come il famoso salmone danubiano, e più di 230 uccelli e mammiferi tra cui il lupo euroasiatico. Nonostante questa enorme ricchezza di biodiversità, si stima che solo il 5,4% del fiume sia oggi adeguatamente protetto. Un’altra particolarità è la bassa temperatura dell’acqua, anche in piena estate, con una media annuale che va dai 4º registrati a Žabljak (Montenegro) agli 11º di Loznica (Serbia).

Lungo le sue sponde vive poco più di un milione di persone, diviso in 56 centri urbani, soprattutto in Serbia (47%) e in Bosnia (39%). In Montenegro, il fiume scorre in aree montuose scarsamente abitate.

Le cause dell’inquinamento

Quanto successo a gennaio, con l’accumulo di circa 4 tonnellate di detriti, è da imputare alla rottura di una barriera costruita per bloccare i rifiuti provenienti dalle discariche illegali che si trovano specialmente in Montenegro e Serbia. Non è la prima volta che a Višegrad, dove sorge un’importante centrale idroelettrica, si raccolgono i rifiuti dando vita a una vera e propria isola galleggiante. Era già successo nel 2018 e da allora sono stati compiuti pochi passi in avanti.

Le cause dell’inquinamento sono diverse e complementari tra loro. Sicuramente vi è una scarsa sensibilità delle popolazioni locali che continuano ancora a riversare nel fiume i propri rifiuti domestici, soprattutto plastica. Ciò è dovuto alla mancanza di sensibilizzazione delle autorità locali così come di un sistema adeguato e innovativo di gestione dei rifiuti e del trattamento delle acque. Sempre secondo la Banca Mondiale, solo il 20% della popolazione che vive nelle vicinanze è coperta dai sistemi di raccolta delle acque reflue. Tutto il resto viene rilasciato, spesso in maniera del tutto legale, direttamente nei torrenti che affluiscono nella Drina.

A tutto ciò si aggiungono altri problemi legati alle pratiche agricole, ancora fortemente dipendenti da un uso incontrollato ed eccessivo di prodotti chimici, pesticidi e fertilizzanti che vanno a finire nelle acque del fiume.

Altrettanto problematico l’impatto derivante dalle attività industriali. Se da un lato la chiusura di numerosi impianti produttivi a seguito della guerra degli anni Novanta ha favorito una riduzione degli scarichi e dei riversamenti, dall’altro ha creato delle vere e proprie bombe ecologiche a causa dell’abbandono delle strutture.

Negli ultimi anni le minacce principali arrivano dalle nuove attività estrattive che coinvolgono soprattutto il fiume Lim (Serbia), uno dei principali affluenti della Drina. Nella regione di Loznica, nella Serbia centrale, la multinazionale Rio Tinto ha previsto infatti un investimento di 450 milioni di dollari per lo sfruttamento di uno dei più grandi giacimenti di borato di litio al mondo, fondamentale per le batterie dei veicoli elettrici. Il progetto ha provocato la dura reazione dei residenti, che denunciano le gravi conseguenze per l’aria e l’acqua dei fiumi derivanti dallo stoccaggio dei detriti.

L’impegno delle autorità

Il processo di integrazione europea, che coinvolge tutti e tre i paesi, spinge per il miglioramento degli standard ambientali. Un elemento confermato anche nell’ultimo anno con l’adozione di una Agenda verde per i Balcani occidentali.

Ad oggi, nonostante i numerosi incontri tra le autorità serbe, montenegrine e bosniache non esiste nessun accordo formale per la gestione comune delle acque della Drina, come invece previsto per il fiume Sava. Questo limita l’impatto delle azioni dei singoli paesi indebolendo i (pochi) sforzi compiuti fino a ora.

La Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) nel dicembre 2019 ha espresso varie raccomandazioni per promuovere la cooperazione transfrontaliera su questo tema. Tra gli impegni richiesti rientrano un più diffuso scambio di informazioni, un più ampio monitoraggio della qualità dell’acqua e soprattutto l’armonizzazione delle legislazioni nazionali agli standard europei. La speranza è che nel prossimo futuro, anche grazie alle pressioni e all’impegno europeo, immagini come quella delle settimane scorse diventino via via un cattivo ricordo.

Foto: Euronews

Chi è Marco Siragusa

Nato a Palermo nel 1989, ha svolto un dottorato all'Università di Napoli "L'Orientale" con un progetto sulla transizione serba dalla fine della Jugoslavia socialista al processo di adesione all'UE.

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