Che tipo di regime politico è, quello ungherese post-2010, e quali sono le relazioni tra stato, economia, e società? Ne ha parlato Dorit Geva, professoressa associata della Central European University, centro di ricerca espulso da Budapest e oggi con sede a Vienna.
Dal neoliberismo all’ordonazionalismo: un regime statalista e capitalista
Sulla base delle ricerche sul thatcherismo e sul neoliberismo di Stuart Hall e Bob Jessop, Geva identifica nel regime ungherese una nuova forma di neoliberismo autoritario e ipernazionalista, che definisce ordonazionalista. Tale regime, di impronta egemonica, secondo Geva, combina, in primis, uno stato nazionalista interessato a garantire la flessibilità del mercato del lavoro; in secondo luogo, una cattura politica di tale stato come mezzo di controllo dell’accesso all’accumulazione del capitale; infine, un nuovo regime di riproduzione sociale, che punta alla finanziarizzazione e all’accesso al consumo per creare e controllare un blocco sociale. Ma la combinazione tra nazionalismo e neoliberismo non è scevra di contraddizioni.
Lo stato catturato e il controllo oligarchico sull’economia
Il primo elemento del nuovo regime ordonazionalista, per Dorit Geva, è il ritorno del ruolo dello stato in economia. Se lo stato neoliberale dagli anni ’90 ha perso il potere sulla regolamentazione del capitale, in cambio dell’integrazione nei mercati internazionali (un prodotto del pensiero dell’ordoliberalismo), lo stato ordonazionalista recupera il proprio potere in maniera selettiva. Come regime statalista e capitalista insieme, utilizza il potere pubblico per assicurare la flessibilità del lavoro, consentire l’accesso al consumo e controllare l’accesso all’accumulazione capitalista.
Orbán ritorna al potere nel 2010 sull’onda di una pesante critica alle istituzioni finanziarie internazionali (Banca Mondiale e FMI) e con una promessa di nazionalismo finanziario e autogoverno dell’economia. Costringendo le banche straniere ad accettare un tasso di cambio più basso di quello di mercato, Orbán salva i cittadini ungheresi dalla crisi dei mutui, guadagnandosi reputazione di eroe del popolo.
Ciò si traduce nella pratica nella rinazionalizzazione di settori strategici dell’economia (telecomunicazioni, trasporti, banche, media), anche attraverso l’uso strategico di sanzioni legali ed economiche che spingono all’uscita del capitale straniero dal paese. Tali settori vengono quindi affidati a capitalisti ungheresi di chiara lealtà politica come Lőrinc Mészáros e Lajos Simicska (la classe oligarchica).
Attraverso il controllo dell’economia, il regime orbaniano ha esteso il proprio potere anche sulle autorità locali, controllando direttamente i flussi di investimento verso le regioni (una norma introdotta nel 2020 con il pretesto della pandemia), potendo così premiare o punire gli amministratori locali – come la città di Budapest, oggi controllata dall’opposizione.
La seconda dimensione, secondo Dorit Geva, è quella della cattura dello stato. Forse la dimensione più evidenziata nelle analisi di stampo liberal-democratico, l’Ungheria di Orbán è un regime in cui il pluralismo democratico è stato svuotato di ogni contenuto attraverso il controllo sui media (famosi i casi di Népszabadság, Origo e Index.hu). Ma dal lato dell’economia politica ciò consente al regime di controllare direttamente il mercato del lavoro e l’accesso all’accumulazione del capitale.
La riproduzione sociale tramite finanziarizzazione e accesso al consumo
Il terzo elemento, nell’analisi di Dorit Geva, è quello del consolidamento di un nuovo regime di riproduzione sociale, centrato sulla nuova classe media consumista. Ciò avviene tramite politiche pro-nataliste classiste, la flessibilizzazione del lavoro, il declino della redistribuzione e del welfare, l’abbandono dei più poveri.
L’accento, nell’Ungheria di Orban, si sposta sempre di più dal lavoro al consumo. Mentre aumentano vertiginosamente i poveri (il 35% degli ungheresi sono considerati dall’Ocse in indigenza materiale, il 19% in maniera grave – il doppio della media Ue), gli investimenti sociali nella sanità e nell’istruzione sono sempre più bassi (la metà della media Ue).
Il regime orbaniano, nell’alveo del populismo neoliberismo, punta a espellere i più poveri dalla stessa nozione di “nazione”. A ciò sono volte misure quali la criminalizzazione dei senzatetto a fine 2011 (misura poi inserita in Costituzione nel 2018). Il sistema fiscale (con la flat tax sui redditi al 15% e l’Iva più alta d’Europa, al 27%) viene inoltre usato per spostare l’accento dalla redistribuzione al consumo, cui lo stato consente l’accesso e da cui estrae risorse.
L’ordonazionalismo intensifica inoltre la finanziarizzazione dei cittadini, attraverso politiche selettive volte a promuovere un soggetto sociale specifico: la nuova classe media soddisfatta del proprio accesso al consumo, che si pone come blocco sociale di riferimento dell’egemonia politica dei nazional-conservatori.
Ne risultano misure come i baby-bond, acquistabili alla nascita di un figlio con un tasso di rendimento maggiorato del 3% rispetto all’inflazione, o l’abbattimento progressivo dei tassi dei mutui immobiliari o dei prestiti universitari fino alla nascita del terzo figlio (2017): politiche sociali volte a sostenere un modello di famiglia patriarcale e che enfatizzano il ruolo riproduttivo della donna. Tutte misure inoltre, che abbisognano di un capitale di partenza per accedervi: restano quindi esclusi i più poveri, inclusi i rom. In ciò appare evidente la base patriarcale e razzista di un sistema sociale basato sulle agevolazioni finanziarie.
Il regime orbaniano, nuovo esempio di stato capitalista e nazionalista
Secondo Dorit Geva, il concetto di ordonazionalismo può essere dunque utile per superare le nozioni novecentesche che ancora limitano la nostra capacità di analizzare il presente e vedere quello di Orbán come un regime politico completo e consolidato sulla base di un preciso progetto di egemonia culturale. Da qui anche l’assalto alle università libere (CEU, Accademia delle Scienze, SzFE), sostituite con scuole di partito come la nuova Università della Pubblica Amministrazione.
Un modello, statalista e capitalista, che non è privo di contraddizioni. L’estrema flessibilizzazione del mercato del lavoro, assieme alla demonizzazione dell’immigrazione e la libera circolazione dei lavoratori nello spazio Ue conducono infatti a crisi dell’offerta – manca la manodopera!
Tali contraddizioni vengono risolte tramite interventi autoritari del potere pubblico: dalle “leggi schiavitù” di fine 2018 contro cui gli ungheresi sono scesi in piazza, ai poteri d’emergenza (con il pretesto della pandemia) per indirizzare gli investimenti esteri (specie nel settore automotive) verso specifiche “zone economiche speciali“.
La riduzione del debito estero e l’autarchia nei confronti delle istituzioni finanziarie internazionali nasconde inoltre una crescente dipendenza da Russia e Cina, con prestiti agevolati e accordi di investimento i cui dettagli vengono secretati per decenni, come per la ferrovia Budapest-Belgrado.
L’enfasi sul consumo porta inoltre alla centralità di tale elemento nel patto sociale, con rischi di contraccolpo, come mostrato dalle manifestazioni di fine 2014 contro l’aumento dei costi del consumo dati (“internet tax“), che ha fatto vacillare il consenso di Orbán presso la nuova classe media.
In vista delle elezioni del 2022 e del piano dell’opposizione di presentarsi con una lista unica in tutti i collegi, bisognerà vedere quanto a lungo ancora il modello politico del regime di Orbán saprà sopravvivere.
Foto: FT