Dal raggiungere i numeri oceanici delle manifestazioni di piazza del novembre 1989, come quella nella foto usata per la locandina, gli organizzatori della protesta tenutasi il 7 marzo in piazza Venceslao a Praga erano ben lontani, ma forse un record lo hanno portato a casa. La manifestazione è durata solo 12 minuti prima che la polizia disperdesse i manifestanti per il mancato rispetto delle misure di sicurezza anticovid: molti, infatti, non indossavano nessuna protezione facciale né tantomeno rispettavano il distanziamento.
I manifestanti erano circa 200 ma solo a un centinaio, il massimo previsto dalle attuali misure di protezione, è stato permesso di entrare nella piazza. Alcuni degli aderenti all’iniziativa My společně (Noi insieme) si sono scontrati con la polizia che li aveva intimati a rispettare le norme. Il risultato sono 54 persone fermate per accertamenti. Tra questi uno degli organizzatori, Lubomír Volný, deputato indipendente (ex membro del partito di estrema destra SPD), noto per rifiutare di indossare la mascherina in parlamento. I manifestanti hanno poi provato la fortuna in Piazza della Città Vecchia dove, però, li attendeva la stessa sorte.
Manie di persecuzione
Il ministro degli Interni Jan Hamáček ha dichiarato che i manifestanti “si dovrebbero vergognare” e che la loro manifestazione “è stata uno schiaffo in faccia ai dottori e agli infermieri” impegnati in prima linea nella lotta contro la pandemia. Al grido di “vogliamo lavorare e “non vogliamo vivere distanziati” i manifestanti hanno chiesto a gran voce le dimissioni di Andrej Babiš, il premier ceco, accusandolo di essere un “traditore della patria”. Contro i poliziotti, invece, hanno scandito “Gestapo”, tracciando un parallelo assurdo ma evidentemente ricorrente tra chi nelle restrizioni alle libertà personali cerca qualcosa di più della tutela della salute pubblica.
In una manifestazione simile del 10 gennaio, infatti, molti manifestanti indossavano sul petto una stella gialla recante la scritta “Neočkovaný“, ovvero “non vaccinato”, in riferimento alle stelle gialle con scritto Jude che nei paesi occupati dai nazisti gli ebrei erano obbligati a indossare. Il messaggio trasmesso è tanto semplice quanto delirante: chi non vuole farsi vaccinare e non vuole rispettare le misure restrittive sarebbe vittima di discriminazioni come lo furono gli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Numeri sconsolanti
Sono passati quasi cinque mesi dall’ultimo nostro articolo sulla situazione della Repubblica Ceca e le cose non solo non sono migliorate, ma con la terza ondata sono anzi peggiorate. I reparti di terapia intensiva e gli ospedali sono pieni e vicini al collasso. Il governo cerca disperatamente personale medico e sta valutando di “arruolare” praticanti e personale paramedico. Con circa 120.000 contagi per milione di abitanti, infatti, la Repubblica Ceca è il 4° paese al mondo per contagi. Per avere un termine di paragone in Gran Bretagna il dato è di 62.000 e nella tanto bistrattata Italia “solo” di 50.000. Tra malati e guariti i cechi che hanno avuto a che fare con il Covid sono 1,3 milioni, un decimo dell’intera popolazione, ma includendo asintomatici e malati non registrati il totale potrebbe arrivare a 3 milioni, quasi un terzo di tutto il paese (più o meno quanto tutta l’Italia che, però, ha 6 volte tanti abitanti). Il paese che ancora in ottobre aveva meno di 1000 decessi ad oggi ne registra ben 22.147.
Scaduto lo stato di emergenza, che era in corso dal 5 ottobre, e a fronte del voto contrario delle opposizioni al rinnovo, il 1° marzo il governo ne ha dichiarato un altro con misure ancora più restrittive che durerà per tre settimane: mascherine anche all’aria aperta, tutto chiuso, scuole, negozi di beni non essenziali, ma soprattutto, per la prima volta dall’inizio della pandemia, i cechi hanno il divieto di circolazione fuori dalla provincia di residenza (salvo per motivi di lavoro, salute e cure familiari). La polizia, coadiuvata da 5.000 soldati, sta effettuando circa 100.000 controlli giornalieri.
Dopo le nuove misure più restrittive i contagi pare stiano rallentando e già si parla di un RT prossimo a 1, ma ancora ieri i nuovi casi erano quasi 10.500 (il triplo dell’Italia in proporzione alla popolazione) e il rischio è che un leggero miglioramento diventi giustificazione per aperture improvvise e premature, come già successo a inizio estate e prima di Natale quando i contagi tornarono a salire rapidamente.
Gli indiziati
La Repubblica Ceca paga lo scotto di un lungo periodo di misure altalenanti e annunci contradditori che hanno lasciato nella popolazione la sensazione che la situazione non fosse poi così grave. Per non parlare dei 5 mesi (dal 17 maggio al 5 ottobre) senza stato di emergenza e restrizioni particolari o delle riaperture prenatalizie, fortemente volute dagli abitanti del paese più ateo dell’UE.
E così, ennesimo paradosso del paese di Kafka, la Repubblica Ceca, il paese più euroscettico e inizialmente meno propenso ad aiutare gli altri si ritrova a dover chiedere aiuto ai suoi vicini.
Vale la pena ricordare che la Repubblica Ceca non ha ancora corrisposto il contributo di 750mila euro promesso un anno fa durante la conferenza mondiale organizzata dalla Commissione europea al fine di trovare 8 miliardi per lo sviluppo di un vaccino anticovid. Non pare sia andata troppo meglio con gli altri paesi del V4 tra cui l’unico ad aver onorato il suo impegno è l’Ungheria di Viktor Orban.
La Francia intanto ha però regalato 100.000 vaccini alla Repubblica Ceca e altri 15.000 arriveranno da 3 Land tedeschi, ai quali vanno aggiunti i 100.000 vaccini, cui i paesi UE rinunceranno a favore della Repubblica Ceca, e la disponibilità di Germania, Austria, Slovenia e Polonia a prendere in carico i pazienti covid cechi.
Tra i principali indiziati dei contagi nel paese, secondo molti ci sarebbe soprattutto l’industria. Il governo, infatti, non ha mai chiuso le fabbriche che producono il 42% del PIL e in cui lavorano ben 1,5 milioni di persone (27% degli occupati rispetto a una media UE del 16%). Per non parlare dei tantissimi dipendenti che avrebbero continuato ad andare a lavorare anche se malati per non subire perdite nelle già magre buste paga. Josef Středula, segretario generale della Confederazione sindacale ceca, non ha dubbi: “Il governo ha privilegiato gli interessi economici a discapito della salute dei cittadini”.
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Foto di Vít Šimánek per ČTK