La tensione si mantiene alta in Transcarpazia, regione dell’Ucraina occidentale, dove Kiev guarda con sospetto alle politiche di Budapest, volte a favorire l’autonomia della zona. Una relazione complicata, sul cui sfondo si pone la spinosa questione dei diritti delle minoranze, in particolare dei 150.000 magiari della zona.
All’ombra di Mosca
Mentre il 5 gennaio 2014 il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, annunciava il raggiungimento di un accordo con Rosatom (compagnia energetica statale russa) per l’ampliamento della centrale nucleare di Paks – segno di un avvicinamento fra i due paesi – poche settimane dopo la fuga di un altro Viktor, Janukovič, presidente dell’Ucraina, segnò la rottura fra Kiev e Mosca. I fatti che seguirono sono noti, con l’occupazione e annessione russa della Crimea e la guerra nel Donbas che si trascina ancora oggi.
Mentre la Nato esprimeva solidarietà all’Ucraina, i media di Budapest sposavano le tesi del nuovo alleato, e anche il partito di governo Fidesz non nascondeva la sua simpatia per la causa russa, spingendo affinché fossero concesse maggiori autonomie alle comunità ungheresi della Transcarpazia. Una linea rafforzata nel settembre, quando fu nominato ministro degli Esteri un giovane politico filorusso, Péter Szijjártó, il quale concludeva l’operazione di “ripulitura” dell’apparato ministeriale, allontanando il personale eccessivamente “filo-occidentale” (220 su 1700 dipendenti).
Un paese, una lingua
La guerra in Donbas e il rischio concreto della disgregazione del paese hanno avuto importanti conseguenze, esacerbando il nazionalismo ucraino in funzione antirussa. Una delle prime fu l’abolizione della legge sulle minoranze linguistiche: il testo, introdotto nel 2012, aveva garantito l’uso della lingua madre nei tribunali, scuole e amministrazione, qualora una minoranza superasse il 10% in una comunità. Sebbene l’obiettivo fosse la lingua russa, gli esponenti delle altre lingue minoritarie si sentirono colpiti dal provvedimento, ingaggiando una forte resistenza sul piano istituzionale.
Ciò che affossò ulteriormente le relazioni ungaro-ucraine fu però la legge sull’istruzione, del settembre 2017, secondo cui solo le scuole primarie possono essere svolte in lingua minoritaria, fissando come unica lingua principale degli istituti superiori l’ucraino.
Allo stesso tempo Ungheria e Ucraina sono contrapposte anche sulla questione passaporti: mentre il paese danubiano ha adottato una politica di concessione della cittadinanza a tutti i richiedenti di minoranza magiara (circa 90.000 dal 2014 in Ucraina), Kiev proibisce il possesso di un doppio titolo.
Forti tensioni
Il conflitto nei territori orientali e la carenza di risorse di Kiev hanno portato a forti conseguenze anche nella periferia occidentale del paese. Prima di tutto a livello di tensione fra nazionalisti ucraini e centri culturali delle minoranze, i quali, in una situazione di assenza dello stato, hanno aumentato la propria influenza anche grazie ai generosi finanziamenti di Budapest. Centri come la “Egan Ede Foundation” (centro per lo sviluppo economico della Transcarpazia) o la scuola superiore universitaria “Ferenc Rákoczi II” a Berehove – dove quasi metà della popolazione è ungherese – intraprendono numerose iniziative, ma sono senza dubbio le iniziative del KMKSz (Associazione culturale ungherese di Transcarpazia) a destare maggior sospetto fra i nazionalisti ucraini.
Nel novembre 2017 alcuni manifestanti hanno tentato di bruciare la bandiera ungherese sul municipio di Berehove, mentre nel febbraio del 2018 la sede della KMKSz a Užhorod è stata colpita da attacchi incendiari e colpi di Molotov per due volte. Ancora, nel dicembre del 2020, la sede dell’Associazione culturale e la casa del suo presidente László Brenzovics sono state perquisite per cercare prove di un piano per favorire la dissoluzione del paese.
Il risultato è una situazione esplosiva, dove paranoia e paura si mescolano: Myrotvorets, sito dell’intelligence ucraina, ha pubblicato una lista di 300 persone che hanno ottenuto il passaporto magiaro, mentre i sondaggi del gruppo di studio non governativo Ukrainian Prism mostrano come l’Ungheria sia vista con forte sospetto. Non sorprende così che a Siurte, dopo una seduta cerimoniale, alcuni consiglieri siano stati accusati di tradimento per aver cantato l’inno ungherese.
Questi incidenti finiscono per minare ulteriormente il rapporto fra i due paesi, con conseguenze che possono essere di ampia portata. Nel 2018, ad esempio, Budapest rispose all’espulsione del console magiaro a Berehove – filmato mentre distribuiva passaporti – minacciando un veto all’eventuale adesione di Kiev al patto atlantico e all’Unione europea, finché i diritti delle minoranze non saranno riconosciuti.
Foto: manifestazione nazionalista ucraina davanti al municipio di Berehove nel 2017 (trubyna.org.ua)