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ROMANIA: Non è un paese per donne (in politica, ma non solo)

di Salvatore Possumato

Raluca Turcan (PNL), vicepremier nei precedenti governi Orban, è l’unica figura femminile presente nell’esecutivo di centro-destra retto da Florin Citu, investito della fiducia del parlamento lo scorso 23 dicembre. Guida il dicastero del Lavoro e della Protezione sociale.

Un presidente del consiglio, due vicepremier, diciotto ministri. Un totale di ventuno cariche da distribuire e una sola donna ritenuta degna di occupare uno scanno nella stanza dei bottoni. Non che la situazione fosse migliore nei precedenti esecutivi a guida PNL, Orban I e II, nei quali a esponenti politici di sesso femminile è stata affidata la carica di viceprimoministro e due ministeri.

Un punto di svolta in tal senso ha rappresentato il governo a maggioranza PSD di Viorica Dancila, primo premier donna della storia romena. Durato in carica meno di due anni (da gennaio 2018 a novembre 2019), tra rimpasti vari ha visto la presenza tra i banchi dell’esecutivo di dieci donne.

USR-PLUS, il partito del cambiamento che ignora le donne

Nella spartizione delle cariche di governo, l’USR-PLUS del vicepremier Dan Barna ha ottenuto la guida di sei dicasteri, tra i quali quelli chiave di Giustizia, Sanità ed Economia, tutti affidati a figure maschili. Eppure, l’Unione Salvate la Romania, dal momento della sua nascita nel 2015, ha da sempre sostenuto posizioni a favore dell’uguaglianza di opportunità tra generi, come unica strada percorribile affinché la democrazia romena raggiunga la piena maturità.

Nei fatti, però, l’unica personalità femminile di una certa rilevanza nel partito è Clotilde Armand, attivista per i diritti civili, tra i fondatori del movimento nato dalle proteste anticorruzione e neoeletta sindaco del Settore 1 di Bucarest. Dei ventiquattro membri del Consiglio Nazionale che affiancano il presidente Barna, votati dai delegati al Congresso di Timisoara un anno fa, appena il 25% (sei membri) sono donne e solo una vicepresidente su sette nominati.

Trent’anni di storia politica al maschile

Dal primo governo post-comunista, in carica dal 26 dicembre 1989 e retto da Petre Roman, per un decennio nessuna donna è entrata a far parte dell’esecutivo. Nella legislatura in corso la presenza di donne in parlamento è sensibilmente aumentata rispetto a quelle precedenti, raggiungendo quasi il 20% (dal 1990 al 2000 era sotto il 5%), ma resta ben lontana dalla media europea (27%).

La scarsa rappresentanza femminile nelle istituzioni è un tema che non sembra generare interesse nell’opinione pubblica romena, relegato tra le notizie di appendice dai media e affrontato dai leader politici con dichiarazioni di facciata di apertura, prontamente smentite in aula. Nel 2011 la deputata del PDL Sulfina Barbu presentò un progetto di legge per l’introduzione di quote di genere, votato tra mille peripezie solo nel 2013 e respinto dalla Camera tra l’indifferenza generale.

Retaggio anticomunista e ruolo sociale della donna

Ionela Baluta, direttrice del Centro per le politiche di eguaglianza delle opportunità, evidenzia come negli ultimi anni del regime di Ceausescu, attraverso l’imposizione di quote di genere, oltre il 30% dei componenti delle strutture politiche del paese fosse rappresentato da donne (ciò non equivale tuttavia ad affermare che detenessero ruoli decisionali). Nella prima legislatura dopo la rivoluzione del 1989 la presenza femminile è crollata, riducendosi a mera comparsa. Baluta attribuisce la brusca inversione di tendenza a vari fattori, tra i quali assume importanza primaria l’aspetto ideologico.

Garantire per legge alle donne l’accesso in un campo professionale tradizionalmente considerato di pertinenza maschile come la politica è un concetto categorizzato come marxista, neo-comunista e femminista, di conseguenza non ammissibile nel contesto socio-politico della Romania nata con la caduta del socialismo. L’introduzione di quote di genere, in tale ottica, aprirebbe le porte a una pericolosa rivalutazione di un passato da dimenticare.

Nel dibattito (scarno, a dire il vero) sull’esigenza di garantire alle donne una partecipazione attiva nella vita politica del paese, assume inoltre un peso sostanziale la marcata distinzione dei ruoli tra i generi che contraddistingue la società romena. La ripartizione delle mansioni domestiche è utilizzata negli studi sociali come indicatore per determinare il grado di parità di opportunità tra uomini e donne e, di conseguenza, il deficit di democrazia di un paese. In Romania avere cura della casa e della famiglia è considerato un compito di pertinenza quasi esclusivamente femminile, che mal si coniuga con l’aspirazione delle donne di indipendenza economica, di crearsi una posizione in un campo come quello della politica, che richiede impegno costante e sacrificio.

L’eliminazione degli stereotipi di genere, la ridefinizione del ruolo femminile e maschile nella società, nella coppia e nella famiglia rappresentano una tappa essenziale per rimuovere le gerarchie e le ineguaglianze esistenti e dare vita a un reale percorso di crescita democratica nel paese.

Immagine: Wikipedia

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