Martedì 29 dicembre 2020, un forte terremoto di magnitudo 6.3 sulla scala Richter ha scosso la Croazia. L’epicentro è stato localizzato 50 km a sud-est della capitale Zagabria, nei pressi di Petrinja, la cittadina più colpita insieme ai piccoli centri di Glina e Majske Poljane. Sette persone hanno perso la vita, mentre i danni materiali non sono stati ancora calcolati con certezza.
Un’infinita serie di scosse
Petrinja era stata colpita da un primo forte terremoto, di magnitudo 5.0, già il giorno precedente, quando erano stati registrati diversi danni agli edifici, ma non c’erano state vittime. Il premier Andrej Plenković e il presidente della repubblica Zoran Milanović erano accorsi nella zona per verificare lo stato della situazione, mentre cominciavano le prime verifiche sulla tenuta degli edifici. Diversi inviati delle emittenti televisive erano giunti in città, mentre una parte della popolazione rientrava nelle proprie abitazioni.
Il giorno seguente, poco dopo mezzogiorno, la terra è tornata a tremare con forza maggiore. Il terremoto è stato riportato praticamente in diretta, in una sequenza di immagini drammatiche, da Marin Veršić, inviato di Al Jazeera Balkans, che era sul posto per documentare la situazione dopo il primo sisma. Visibilmente scosso, Veršić ha fatto capire da subito che questa volta non si trattava di calcolare i danni materiali, ma che iniziava una gara contro il tempo per salvare più vite possibile.
L’intervento dei vigili del fuoco, dell’esercito e della stessa popolazione ha contribuito a liberare dalle macerie molti cittadini che vi erano stati intrappolati. Già nei primi momenti, mentre un gruppo di persone salvava un uomo e suo figlio, travolti dai resti di un palazzo crollato, arrivava la notizia della morte di una bambina di dodici anni. Altre cinque vittime sono state registrate nel piccolo centro di Majske Poljane, mentre una persona ha perso la vita a Žažina, nei pressi di Sisak. Sono stati venti, invece, i feriti, trasportati negli ospedali di Zagabria e Sisak, già sotto pressione per la difficile situazione legata all’epidemia da coronavirus nel Paese.
La solidarietà e i primi giorni dopo la tragedia
Dai primi momenti dopo il tragico evento sono arrivati nella zona molti volontari, oltre ai vigili del fuoco, ai sanitari e ai militari in servizio, per portare aiuti e conforto alla popolazione colpita. Le autostrade che portano a Sisak si sono presto riempite di veicoli provenienti da tutto il paese, tanto che i vertici della protezione civile hanno dovuto invitare i cittadini a non mettersi in viaggio, per evitare che la presenza di un eccessivo numero di persone sul posto ostacolasse le operazioni d’urgenza.
Molti hanno offerto le proprie case agli sfollati, mentre aiuti e solidarietà sono arrivati anche dalle vicine Slovenia, Bosnia-Erzegovina e Serbia, dove un gruppo di cittadini si è riunito davanti all’ambasciata croata di Belgrado in segno di solidarietà. Tragedie come questa hanno sempre unito, oltre ogni divisione, le popolazioni dell’area, proprio come è successo durante il grande alluvione del 2014, che aveva colpito duramente anche questa regione.
Nel frattempo, la terra ha continuato a tremare. Diversi terremoti di intensità minore hanno scosso la stessa zona nei giorni successivi, non lasciando tregua alla popolazione colpita, costretta a passare notti e giornate in macchina, in tenda o in container allestiti provvisoriamente, nell’attesa che le proprie case fossero controllate dai tecnici. Le loro operazioni sono state ulteriormente rallentate dalle continue scosse di riassestamento, di magnitudo compresa fra 2.7 e 5.0.
A Petrinja, nel frattempo, era arrivato anche Milorad Pupovac, il principale rappresentante della minoranza serba in Croazia, molto presente in questa zona e altrettanto colpita dal sisma. Pupovac ha dichiarato che due delle sette vittime appartenevano alla comunità serba.
I precedenti
L’area circostante Zagabria è una zona a rischio sismico e nel marzo 2020 un forte terremoto di magnitudo 5.5 aveva colpito la città, causando una vittima e 26 feriti. Nel 2010, dopo il terremoto che ha colpito l’Aquila, gli studiosi croati avevano preparato delle stime di rischio per la regione della capitale e avevano valutato come “probabili” eventi sismici di magnitudo 6.0/6.2 sulla scala Richter.
Il prof. Marijan Herak, dell’Università di Zagabria, ricordava in quel periodo come l’attività sismica nella zona non fosse importante, ma che i dati passati non erano confortanti: la città era stata colpita da un terremoto di magnitudo 6.3 nel 1880, mentre sono stati frequenti terremoti di magnitudo 5.0 o 6.0 lungo tutto il corso degli anni fino al 1906.
Inoltre, meno di 150 km dividono la regione di Sisak da Banja Luka, oggi capoluogo dell’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina e città notoriamente soggetta a un alto rischio sismico. Nel 1969, Banja Luka è stata colpita da un terremoto di magnitudo 6.3, che ha causato 15 vittime e oltre 1.100 feriti, distruggendo grossa parte del centro cittadino e lasciando un segno indelebile nella memoria dell’allora Jugoslavia intera.
Le prospettive per il futuro
Banja Luka è rinata dalle sue macerie grazie anche a un importante progetto di edilizia antisismica e la regione di Sisak seguirà lo stesso lungo e difficile percorso verso la ricostruzione di un’area che risulta essere già tra le più povere della Croazia: la guerra degli anni Novanta ha lasciato qui segni importanti e il sisma rischia di rallentare ulteriormente un processo di riqualificazione che è già in ritardo rispetto al resto del paese.
Il governo croato ha già stanziato quasi 16 milioni di euro per sostenere le aree colpite e gli aiuti umanitari in questi giorni arrivano da tutte le parti, ma per giungere a una completa ricostruzione e alla messa in sicurezza del territorio sarà necessario disegnare un piano ben definito ed efficace, mantenendo l’attenzione puntata sulla zona anche quando l’ondata di solidarietà iniziale sarà con il tempo esaurita, perché la popolazione della regione di Sisak non sia dimenticata e perché sia aiutata con un concreto progetto a lungo termine.
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