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BOSNIA: La difficile condizione dei migranti dopo l’incendio del campo di Lipa

di Angela Perissinotto

Le tende del campo di Lipa, che offrivano riparo e aiuto ai migranti sulla “rotta balcanica”, sono andate distrutte in un incendio mercoledì 23 dicembre, giorno in cui l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) si apprestava a smontare il campo, approntato lo scorso aprile in risposta alla pandemia da covid-19, e non più idoneo all’inverno ormai inoltrato.

Da allora, i circa mille migranti in Bosnia hanno dovuto affrontare due settimane all’addiaccio, tra tentativi falliti di trovare soluzioni alternative, finchè negli ultimi giorni l’esercito bosniaco e la Croce Rossa hanno montato alcune tende militari sul sito dell’ex centro d’accoglienza.

Il fallimento di ogni soluzione alternativa

Il campo di Lipa, che si trova in zona montuosa a 30 chilometri da Bihac, è stato a lungo fonte di scontro. Le autorità internazionali avevano chiesto più volte a gran voce di migliorare le condizioni del campo, in modo da poter offrire alle persone presenti un riparo sicuro dal rigido inverno bosniaco. Ma le autorità locali non avevano ancora nemmeno assicurato l’allacciamento ad acqua ed elettricità.

Numerose organizzazioni non governative si erano spese per denunciare questa difficile situazione, chiedendo la chiusura immediata del campo. Ancora oggi, dopo l’incendio, diversi attivisti protestano contro lo stallo delle autorità bosniache.

Il 19 dicembre l’IOM aveva tentato di trasferire i migranti da Lipa al centro d’accoglienza Bira, a Bihac, che era stato svuotato e chiuso in maniera illegale dalle autorità locali lo scorso 30 settembre, tra le proteste dell’UE. Ma nonostante il via libera del Ministro della Sicurezza nazionale, la polizia del Cantone Una-Sana ha impedito l’ingresso al centro, che avrebbe potuto ospitare fino a 1.500 persone durante l’inverno.

Il 29 dicembre i migranti bloccati a Lipa da ormai una settimana sono stati fatti salire su autobus che avrebbero dovuto trasferirli temporaneamente presso una ex caserma nel villaggio di Bradina, a sud di Sarajevo. Di nuovo, nonostante il benestare del Ministero della Sicurezza, i residenti del villaggio hanno iniziato a protestare, mentre a Sarajevo non si trovava un accordo in Consiglio dei Ministri sulla questione. Alla fine, dopo due giorni e una notte passati in attesa sugli autobus, i migranti sono stati fatti scendere e rimandati a cercare riparo nelle rovine del campo bruciato. Una situazione inumana, cui i migranti hanno risposto con uno sciopero della fame.

La situazione, che si è protratta per tutte le vacanze di Natale, ha portato a dichiarazioni pubbliche dell’Alto rappresentante UE Josep Borrell e della Commissaria agli affari interni Ylva Johansson. In mancanza di qualsiasi accordo politico sul trasferimento dei migranti, l’esercito bosniaco e la Croce rossa hanno iniziato a montare sul posto delle tende militari, dove i primi migranti hanno potuto iniziare a trovare riparo questo weekend. Intanto, a Lipa continuano a mancare acqua e luce. Ciò che non manca è la neve.

La “rotta balcanica” e l’imbuto della Bosnia

La situazione di Lipa è illustrativa di quello che sta avvenendo negli ultimi anni nei paesi dell’area balcanica, in special modo in Bosnia-Erzegovina, che sono percorsi da persone che cercano di raggiungere i paesi dell’Unione europea. La “rotta balcanica” attraversa numerosi stati, dove spesso i migranti restano bloccati, ma dove non sono interessati a rimanere. La Bosnia-Erzegovina non è altro che un paese di transito verso la Croazia, paese UE, da cui poi poter raggiungere altri paesi europei che possano offrire ai migranti migliori possibilità per il futuro.

La Bosnia-Erzegovina, di fronte a questo flusso migratorio, si è dimostrata incapace di sostenerlo con le infrastrutture adatte, ma si è rivelata soprattutto divisa a livello sociale e politico. Oggi la Bosnia ospita circa 9.000 migranti – un numero non così elevato, ma che le autorità bosniache si sono dimostrate assolutamente non in grado di gestire, mentre nella popolazione la solidarietà iniziale verso i migranti lasciava sempre più piede alla frustrazione e al risentimento.

Dall’altro lato, tanto la Republika Srpska quanto i cantoni a maggioranza croata si rifiutano di contribuire alla gestione dei migranti, lasciando che le autorità locali di Sarajevo e di Bihac siano di fatto le uniche a doversene fare carico. In un tale scenario politico, oltre 2.000 persone continuano a dormire all’addiaccio sotto i cieli di Bosnia. 

Foto: Deutsche Welle 

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