di Salvatore Possumato
Il 23 dicembre il parlamento romeno ha votato la fiducia al governo di Florin Citu (260 voti a favore, 186 contrari), ministro delle Finanze nel precedente esecutivo, guidato da Ludovic Orban. La coalizione di centrodestra – formata dai liberali del PNL, USR-PLUS e il partito di riferimento della minoranza ungherese (UDMR) – avrà il compito di garantire al paese stabilità politica, dopo una tormentata legislatura segnata dall’alternarsi di cinque governi. Potendo fare affidamento, soprattutto alla camera, su una maggioranza ristretta, non è escluso che Citu debba in taluni casi strizzare l’occhio all’opposizione. In particolare ad AUR (Alleanza per l’Unione dei Romeni), partito conservatore e nazionalista la cui affermazione ha stravolto le previsioni preelettorali.
AUR era una forza politica sconosciuta ai più prima dei risultati delle consultazioni del 6 dicembre. Nata appena un anno fa, si è rivelata capace non solo di superare e quasi raddoppiare la soglia del 5%, ma di entrare in parlamento con un cospicuo numero di eletti (47 tra le due camere). Voti che, considerando i malumori di una parte dell’USR-PLUS e i dissidi interni al PNL, potrebbero essere determinanti per la sopravvivenza o la caduta dell’esecutivo.
Un successo costruito sul no alle misure anti-covid e sul richiamo ai valori tradizionali
AUR è stata fondata nel settembre del 2020, per iniziativa di Claudiu Tarziu. Giornalista e scrittore, è stato tra i promotori con la Coalizione per le famiglie del referendum del 2018 di modifica all’art. 48 della Costituzione, che intendeva ridefinire il matrimonio come istituto che riguarda esclusivamente l’unione tra un uomo e una donna (obiettivo fallito per mancanza del quorum). Paladino della fede cristiano-ortodossa, Tarziu ha più volte espresso posizioni di condanna verso l’omosessualità (paragonata alla zoofilia) e l’aborto, non nascondendo simpatie per il movimento dei legionari.
Se Tarziu può essere definito il teorico della coalizione, George Simion ne rappresenta senza dubbio l’anima. Co-presidente e frontman della neonata formazione, il trentaquattrenne nativo di Focsani si batte da anni per la riunificazione tra Romania e Repubblica moldava. Simion ha organizzato diverse manifestazioni, radunando migliaia di persone a Bucarest come a Chisinau, sotto lo slogan ‘Riportiamo la Bessarabia a casa‘. Intento unionista perseguito anche nella sua quindicennale esperienza di ultrà allo stadio. In curva ha fondato il gruppo ‘Onore e Patria’, che si oppone all’ingresso nella squadra nazionale di stranieri che hanno acquisito la cittadinanza romena. Figura carismatica, ha girato in lungo e in largo la Romania durante l’ultimo anno, inaugurando circoli e presentando AUR come movimento della gente comune che sta tra le persone e non si chiude nei palazzi del potere. In piazza e in strada AUR c’è sempre, anche durante le restrizioni legate alla pandemia.
L’atteggiamento negazionista del partito nei confronti del covid-19 trova la sua espressione più stravagante nella persona della neoletta senatrice Diana Sosoaca. Avvocato di Iasi, ha acquistato notorietà in rete per i video nei quali denuncia la dittatura sanitaria del governo ‘stalinista’, che ha impedito a centinaia di migliaia di persone di recarsi in pellegrinaggio per celebrare Santa Parasheva (ricorrenza molto sentita in Romania). Nemica giurata della mascherina, non la indossa in parlamento a suo dire per certificati problemi di salute.
Fede e nazionalismo
Nel sito ufficiale di AUR è consultabile il programma elettorale; è composto da una serie di concetti vaghi e in parte contraddittori, che fanno perno sui valori classici della destra: famiglia tradizionale come fulcro della società, identità nazionale da difendere e fede religiosa per ritrovare la retta via. Ai quali si aggiunge un richiamo alla libertà di espressione e di manifestare le proprie idee, di qualunque natura siano.
Questi concetti fanno presa non solo nelle aree rurali o con una forte connotazione religiosa ortodossa, come la regione moldava (oltre il 14% dei consensi a Botosani), ma anche nei grandi e moderni centri urbani, quali Bucarest e Cluj, seppure con numeri sensibilmente inferiori.
La spinta decisiva della diaspora
A consentire ad AUR di passare dall’anonimato a quarta forza del paese ha contribuito certamente la bassa affluenza ai seggi (sotto il 32%), ma a costituire un fattore determinante è stato il voto dei romeni residenti all’estero, la cosiddetta diaspora.
Considerata da sempre la fascia progressista della popolazione, con stili di vita e idee liberali, improntate su modelli occidentali, si è lasciata affascinare da un partito dichiaratamente conservatore, nazionalista e omofobo, e con percentuali vicine al 25%. I motivi di questa scelta sono da rintracciare innanzitutto nella delusione nei confronti dell’USR, la compagine politica nata dalle proteste anticorruzione, entrata in parlamento con l’idea di abbattere il sistema per finirne ben presto fagocitata, attraverso l’alleanza programmatica con il PNL.
AUR, nonostante la povertà di argomenti, ha saputo giocare sulla nostalgia e il desiderio di fare rientro in patria di chi vive all’estero, proponendosi come partito dell’unità di tutti i romeni, il cui obiettivo è quello di creare condizioni economiche tali da consentire alla diaspora di ristabilirsi nella terra d’origine. Discorso demagogico quanto si vuole, ma evidentemente efficace.
Destra estrema nella Romania post-comunista
AUR non è la prima forza con aspetti marcatamente di destra a fare irruzione sulla scena politica romena a partire dalla fine del regime di Ceausescu. Il Partito Grande Romania (PRM), fondato nel 1991 dal poeta e sociologo Corneliu Vadim Tudor su posizioni nazionaliste e antieuropeiste, oggi raccoglie meno dell’1% e non ha rappresenti in parlamento dal 2004, ma sul finire del secolo scorso riuscì a canalizzare l’attenzione di un’ampia fascia dell’elettorato, superando alle parlamentari del 2000 il 20% dei consensi (oltre due milioni di voti), quadruplicando il 4,5% della tornata precedente.
Ideologicamente i punti di contatto con AUR sono evidenti, a partire dall’idea di unificare il territorio romeno con quello moldavo, una visione tradizionalista della famiglia e il ruolo fondamentale attribuito alla fede orodossa come collante sociale. Più caute le posizioni dell’Alleanza per l’unione dei Romeni riguardo l’UE e la comunità degli ungherese di Romania, fortemente osteggiata dal PRM.
Alla stregua di quanto accaduto per il partito di Tarziu e Simion, il boom elettorale del PRM è da inquadrare in un periodo di profonda insoddisfazione popolare nei confronti della mancata realizzazione di riforme strutturali tese a modernizzare il paese e di instabilità politica.
Chi si presenta con un bagaglio ideologico dichiaratamente ispirato al movimento fascista dei legionari è la Nuova destra. Fondata nel 2000 da Tudor Ionescu, l’organizzazione ha come figura di riferimento il capo della Guardia di Ferro romena del periodo tra le due guerre mondiali, Corneliu Zelea Codreanu. Si tratta per la maggior parte di giovani e giovanissimi, in molti casi laureati, incantati dal culto dell’uomo forte che sveglierà la coscienza sopita del popolo romeno. Contestano l’adesione alla NATO e all’Unione europea, mostrano insofferenza verso la presenza di rom, ebrei e ungheresi, non tollerano gli omosessuali. Dal 2015 costituitasi come partito, la Nuova Destra conta circa 1500 adepti.
Da vent’anni a questa parte AUR risulta quindi il primo movimento politico che sia riuscito a dare voce a quei sentimenti reazionari che animano una parte della società romena, frastornata dal rapido passaggio dal socialismo al liberismo incontrollato e ancorata al passato da schemi mentali difficili da abbattere.
Meteora o segnale di un cambiamento di rotta nella Romania europeista?
Difficile oggi prevedere se il successo di AUR potrà convertirsi nella nascita di un vero e proprio quarto polo o sarà destinato a sgonfiarsi rapidamente. Di sicuro rappresenta una novità rilevante nel panorama politico romeno, che finora aveva retto all’ondata populista di estrema destra affermatasi nell’Europa centro-orientale, dall’Ungheria alla Polonia.
Negli ultimi trent’anni la Romania ha investito ogni sua energia nel tentativo di costruire un’immagine rassicurante di sé, convintamente europeista, attirando capitali estreri attraverso un regime fiscale estremamente vantaggioso e manodopera a basso costo. Un modello economico neoliberista abbracciato senza indugi che, se da un lato ha consolidato la fiducia dei partner occidentali e dei mercati (con il PIL in continua crescita), dall’altro ha generato forti sperequazioni, riducendo un numero crescente di persone in condizioni di povertà. Si è venuto così a creare un terreno fertile per il propagarsi di idee populiste e nazionaliste, delle quali AUR si è fatto portavoce, nella totale assenza di alternative a sinistra.
Di fatto la damnatio memoriae del comunismo ha impedito al paese di costruire percorsi politici che portassero al centro del dibattito i diritti dei lavoratori, misure di sostegno sociale, un ruolo più attivo dello stato nell’economia, bollati come inammissibile tentativo di un ritorno al passato. Un vuoto ideologico nel quale AUR ha saputo incunearsi, proponendo come novità concetti reazionari e divenendo elemento fondamentale per gli equilibri di potere nella nascente legislatura.
Immagine: blidaru.net