Poco più di un mese fa, scorrendo le notizie, un titolo in particolare ha attirato la mia attenzione: “la strada del frutto dimenticato è stata realizzata nell’orto botanico di Tbilisi in memoria del poeta italiano Tonino Guerra”. Stupita che la fama dello scrittore e sceneggiatore di Pennabilli avesse raggiunto la sponda opposta del Mar Nero, decido di scoprirne di più.
Quando parlo dei mesi che ho trascorso in Georgia, la domanda che mi viene rivolta più di frequente è “Wow, negli Stati Uniti?”. Tra i nostri concittadini, alcuni non hanno mai sentito nominare la piccola repubblica caucasica, pochi sarebbero in grado di individuarla su una mappa e pochissimi hanno avuto l’opportunità di visitarla. Eppure, tra i nostri paesi nel tempo sono stati costruiti ponti culturali inaspettati.
Se in Georgia – come, d’altra parte, in gran parte dello spazio post-sovietico – il cinema e la musica italiana sono ampiamente conosciuti e apprezzati (un recente esempio parodico ha fatto particolare scalpore a fine anno 2020), alcuni tra gli intellettuali italiani più conosciuti hanno trovato ispirazione proprio tra le caotiche vie di Tbilisi e le affascinanti alture caucasiche.
Federico Fellini mostrò una profonda ammirazione per il cinema georgiano:
“Il cinema georgiano è uno strano fenomeno – speciale, filosoficamente ispirante, sofisticato e, allo stesso tempo, infantilmente puro e innocente. C’è tutto ciò che può farmi piangere e devo dire che questo non è una cosa facile”.
Così ne parlava il celebre regista, secondo cui l’arte cinematografica “appartiene al popolo italiano e al popolo georgiano”, come affermò in una conversazione con alcuni colleghi georgiani.
Fellini non fu l’unico a restare affascinato dalla ricchezza culturale dell’allora repubblica sovietica, poiché, come racconta la giornalista georgiana Nunu Geladze Fusco in un’intervista a Osservatorio Balcani Caucaso, quando Mastroianni visitò il paese nel 1988, dovette attendere a lungo per poterlo incontrare, poiché l’attore “non faceva altro che guardare i film georgiani uno dopo l’altro”.
Tonino Guerra, tuttavia, ha compiuto forse un passo in più, perché “a tutti gli amici georgiani e alla loro bella terra” ha dedicato un romanzo.
La pioggia tiepida
Uno scrittore, un viaggio in Unione Sovietica, l’amore per i racconti e una straordinaria capacità di ascoltare. Questi sono gli ingredienti del breve romanzo di Tonino Guerra La pioggia tiepida, il cui titolo comparve per la prima volta sugli scaffali delle librerie nel 1984.
Leningrado, Georgia e infine Armenia: sono tre le tappe del percorso che porta Tonino Guerra alla scoperta di terre a lui tanto care, lungo un viaggio che in quegli anni doveva apparire esotico e gli dava l’opportunità, sicuramente concessa a pochi, di essere guidato da amici locali e conversare con gli abitanti del posto. Tonino Guerra però non racconta un’avventura, né una realtà politica o sociale, ma le sue impressioni. Non sembra essere interessato ad informare il lettore, vuole, piuttosto, coinvolgerlo, prenderlo per mano e portarlo con sé, trasmettendo suggestioni, emozioni, parole, immagini.
I primi capitoli sono dedicati a Leningrado, dove incontra Misha, un giovane studioso alla ricerca di maggiori informazioni su uno strano fatto storico, riportato, sempre fuggevolmente, in diverse fonti, avvenuto presumibilmente nel 1837 a Pietroburgo e avente come protagonisti un generale in congedo, il suo cane e una singolare insurrezione del mondo animale. Misha non riesce a trovare ulteriori informazioni, ma ha oramai solleticato la curiosità del suo compagno italiano, che decide che il mistero deve essere risolto, con la ricerca storica o con la fantasia. Questa storia, a cui Guerra dedicherà un’opera successiva, Bonaparte e il generale – da cui è tratto il cartone animato Il cane e il suo generale – fa da collante a tutta la narrazione e, di tanto in tanto, nel corso del suo viaggio l’autore vola con l’immaginazione a quell’episodio misterioso, arricchendolo di volta in volta di sostanza e dettagli.
Terminato il suo soggiorno a Leningrado, raggiunge Batumi, una località costiera della Georgia, oggi principale resort turistico del paese. Qui, lo attende l’amico Agagianian, nome di fantasia per Sergej Paradžanov, un regista armeno di cui, come avrebbe successivamente spiegato, all’epoca preferiva non riferire il nome per non creargli problemi politici. Così, inizia un viaggio che lo porta in lungo e in largo per il paese e ne racconta atmosfere e spaccati di vita quotidiana. Agli occhi di chi ha visto soltanto la Georgia di oggi (o, per lo meno, ai miei occhi) e probabilmente si aspetta di scoprirne un volto nuovo, forse sarà sorprendente quanto, nonostante nel frattempo tutto sia cambiato, il paese sia ancora perfettamente riconoscibile. Certo, a Batumi c’era “la statua di Lenin (…), che indica le montagne della Turchia”, oggi sostituita da un monumento in onore di San Giorgio e dedicato all’indipendenza del Paese, e mancavano sicuramente all’appello i grattacieli modernissimi che ora ne costellano il lungomare. L’anima del paese, però, non è cambiata molto.
A Tbilisi, vi erano i vecchi quartieri con “balconi traballanti di legno che coprono metà della strada” con cui contrastava la città bassa, sulla sponda opposta del fiume, dove “tutto sembra più solido” e, allora come oggi, “Prospekt Rustaveli, coi teatri, i musei, gli alberghi, è piena di traffico”. Poi Rustavi, con le solide costruzioni moderne incrostate dalla fuliggine” е la tranquillità di Borjomi, con il parco delle terme, “case di legno piene di ghirigori arabi e le montagne coperte da boschi che coprono tutto intorno questo villaggio”.
E poi si sente il peso degli sconvolgimenti politici degli ultimi anni. Agagianian porta Tonino Guerra a Sokhumi, dove “nella pineta – vi erano – meravigliose dacie di scrittori georgiani accanto a case di legno abbandonate e squilibrate”. Oggi Sokhumi è capitale de facto dell’Abcasia, una regione della Georgia che, in seguito a una sanguinosa guerra civile e grazie anche all’informale supporto russo, si è sottratta al controllo di Tbilisi. Tale processo ha costretto alla fuga le centinaia di migliaia di georgiani che vi abitavano e le loro “meravigliose dacie” oggi probabilmente sono abbandonate o occupate da nuovi inquilini.
Grande importanza viene riservata alla descrizione di alcuni incontri, tutti rappresentativi a modo loro di un certo aspetto del paese, del carattere fiero ed ospitale del suo popolo, delle sue tradizioni.
Il filo conduttore che li lega è un profondissimo legame con la storia. Un uomo a Batumi racconta la malinconica vita degli abitanti di un villaggio spaccato in due dal confine tra Georgia e Turchia, che in quel momento rappresentava anche il confine tra Unione Sovietica e NATO. Un’anziana nobile, decaduta in seguito alla rivoluzione, racconta le vicende della propria famiglia tra i fasti decadenti della tenuta in cui ancora abita. Agagianian stesso, nella sua casa di Tbilisi, ricorda i tempi in cui il padre affittava camere a immigrati curdi; il vecchio Ciabua, in un qualche punto tra le alture dell’Abcasia, in prossimità del fiume Bzib, predice agli innamorati il loro destino; a Borjomi, un ottantenne di origini kazake parla della propria fede.
Queste storie vertono su un costante senso di nostalgia, da cui emerge un grande amore per la propria storia e la paura di perdere il contatto con le radici. Lo stesso Guerra, riflettendo, ammette: “ho l’impressione di non scoprire dei posti che non conoscevo, ma di visitare il tempo“. Questa sensazione è, forse, ciò che ancora affascina ogni viaggiatore che visiti il paese. Oggi, antico e moderno si fondono e, adesso come allora, questo popolo tanto innamorato della propria storia, con un’energia impetuosa rivolta al presente e una semplicità malinconica legata al passato, offre la propria simpatica spontaneità.
Tonino Guerra non avrebbe mai dimenticato la Georgia, ne riparlò in più interviste e, nel 1993, quando il paese attraversava uno dei momenti più bui della propria storia, donò un’icona di San Giorgio recante un messaggio di pace.
Così, quest’anno, in occasione del centenario dalla nascita di Tonino Guerra, con un’iniziativa organizzata dalla moglie Lora Guerra e dal regista Misha Mrelishvili – che alla sua figura ha recentemente dedicato il documentario Buongiorno, tira il vento – al comune di Tbilisi sono stati donati quindici alberi di melo, piantati nel celebre orto botanico della città.
Immagine: National Geographic
*Le espressioni tra virgolette non associate a un collegamento ipertestuale sono citazioni dal libro: T. Guerra, La pioggia tiepida, Maggioli Editore, 1997.