È il 16 ottobre 2013: in tv sta andando in onda Studio Sport, il telegiornale sportivo delle reti Mediaset. Il servizio parla della qualificazione ai prossimi mondiali che si terranno in Brasile. Rocco Femia guarda senza prestare particolarmente attenzione, fino a quando è rapito da un particolare: ci sono dei giocatori che si abbracciano e piangono, di un pianto più profondo e sincero di quello che si vede di solito sui campi di calcio. La loro squadra, la Bosnia Erzegovina, ha vinto 1-0 a Kaunas sul campo della Lituania (qui la sintesi e la partita integrale) e, per la prima volta nella storia, si è qualificata per un mondiale.
Nasce l’idea di Brazzo Football Klub
E voi direte, che c’è di strano in una squadra che si qualifica al mondiale? Funziona così, no? Non proprio, perché nel pianto liberatorio di un’intera squadra, di un’intera nazione, ci sono le storie personali di un paese che appena vent’anni prima ha dovuto fare i conti con una guerra che lo ha lacerato nel profondo, con cicatrici che riemergono, fresche, a distanza di due decenni.
Rocco ha un’idea. Prende il telefono e chiama Enzo Gagliano. Enzo è un suo amico ed è la persona giusta per imbarcarsi in un’avventura del genere. “Andiamo in Bosnia e giriamo un documentario durante i Mondiali brasiliani”. Più o meno deve essere suonata così quella telefonata. Enzo, che come Rocco, ha esperienza nel videomaking, accetta entusiasta e i due iniziano a racimolare soldi e informazioni per farsi trovare pronti il giorno della partenza.
L’idea è quella di arrivare in Bosnia e seguire le tre partite del girone in tre zone diverse del Paese: Sarajevo, Mostar e Banja Luka. Il mondiale, da sempre, non si limita solo all’aspetto calcistico, ma è qualcosa di più, che abbraccia tutta la popolazione e risveglia uno spirito – quasi sempre positivo – di identificazione nazionale. “Volevamo destrutturare alcuni stereotipi sulla Bosnia che, in fin dei conti, erano gli stessi con i quali partivamo noi”.
Prima di tutto, gli aspetti logistici
Dal punto di vista logistico il viaggio fino in Bosnia si è svolto in autobus da Brescia. “Anche perché Google ci proponeva dei voli su aerei ad elica, che ci hanno quantomeno scoraggiato”. I due documentaristi sono rimasti nei Balcani per 20 giorni: “Se avessero passato il girone, saremmo stati in serie difficoltà economiche a continuare”. Rocco usa i soldi di una piccola eredità appena giunta in dote, Enzo si cala in un film di Ken Loach e va alla catena di montaggio per qualche mese, per trovare i fondi necessari. Arrivati a destinazione dormono in ostelli economici e sfruttano i contatti di due “fixer”, due guide che li aiuteranno a spostarsi all’interno del paese.
Una volta arrivati in Bosnia accade quello che succede sempre quando si ha intenzione di raccontare una storia: ne nascono altre cento. Alcune si dipanano parallele, altre invece nascono e muoiono nel giro di poco tempo. E lo scopo del documentario è proprio quello di partire dal mondiale, ma raccontare una terra così vicina, ma così poco conosciuta, con il calcio come specchio dei tempi.
Subito dopo: di cosa si parla?
Ma allora cosa c’è dentro Brazzo Football Klub? Ovviamente c’è il calcio e non solo quello dei mondiali. C’è il derby di Mostar, il Sarajevo, lo Željezničar, il Borac di Banja Luka, ma anche la nazionale femminile e molti interventi di ex giocatori. Ma non si può non parlare anche di guerra. Però Enzo e Rocco provano a parlarne in maniera un po’ diversa, senza una narrazione superficiale ed evitando pietismi. Il documentario – ed è uno degli aspetti più interessanti – si sofferma anche sui movimenti culturali e politici della Bosnia di oggi, che troppo spesso sono ignorati, come la lotta per una politica più trasparente o per il rispetto ambientale del paese.
La domanda che sorge spontanea è “ma come avete fatto con i diritti per le immagini dei gol? Dopotutto non si può parlare di calcio senza vedere il calcio”. Una domanda abbastanza scontata, che però nascondeva una risposta perfetta: “Non potendo avere a disposizione i filmati originali, abbiamo dovuto trovare una soluzione alternativa. Ma è stata una soluzione, a nostro modo di vedere, vincente che ha caratterizzato ancora di più il nostro lavoro”. I due documentaristi hanno deciso di ricreare le azioni salienti con il Subbuteo, di cui Enzo è grande appassionato. L’effetto è assolutamente all’altezza, molto realistico e appassionante. Così il documentario in quei momenti diventa un rimbalzo fra le scene di giubilo e di tristezza dei tifosi davanti al maxischermo e il panno verde dell’elegante gioco da salotto.
Infine: quando Brazzo Football Klub vedrà la luce?
Sembra tutto perfetto. Ma perché non abbiamo mai sentito parlare di Brazzo Football Klub (che deve il suo titolo al soprannome del giocatore bosniaco, ex juventus, Hasan Salihamidžić)? Perché non appena rientrati in Italia, i due documentaristi si sono messi a lavoro con il montaggio, “fra Blob e Mai dire tv, mantenendo un equilibrio fra i diversi ingredienti”, e hanno dato alla luce il loro lavoro che però non ha trovato una produzione ed è restato in un cassetto. Ma nel cassetto BFC non è invecchiato, non è andato fuori tempo massimo, anzi è diventato ancora più significativo, perché mostra a distanza di sei anni, come quello splendido paese, sia rimasto immobile nelle sue contraddizioni. “Ci siamo accorti che non era un instant-movie”.
Così dopo sei anni, la musica dei Dubioza Kolektiv, che è la traccia audio di quel lavoro, risuona ancora con un nuovo montaggio e Brazzo Football Klub torna alla ricerca di una produzione, perché ha ancora tutto da dire, perché come ha detto una ragazza bosniaca che ha potuto vederlo in anteprima “Sono questi i documentari di cui il mio paese ha bisogno”.