Šehić

CULTURA: “Racconti a orologeria”, di Faruk Šehić

Racconti a orologeria di Faruk Šehić . Anteprima - Linkiesta.itdi Mirfet Piccolo

“L’orologio è materiale, il tempo no”, scrive Faruk Šehić. Il tempo è, per consuetudine, scandito da meccanismi precisi, da oggetti materiali quali sono gli orologi. Ma il racconto del tempo non può essere ridotto alla sua mera misurazione convenzionale; infatti, ci mostra l’autore in questa raccolta, il tempo è segnato più di ogni altra cosa dalle sue piccole o grandi apocalissi. Le extrasistoli della vita. Accadono improvvisamente e sono quelle che in un qualche modo finiscono per definire, insieme alle conseguenti solitudini, il tempo del battito normale, quello senza sbalzi.

Racconti a orologeria è la seconda raccolta di racconti di Faruk Šehić (1970), scrittore e giornalista bosniaco che nel 1992, con lo scoppio della guerra, ha lasciato gli studi di veterinaria a Zagabria per arruolarsi nell’esercito della Bosnia Erzegovina. Al termine della guerra si è dedicato alla letteratura con successo crescente e con traduzioni in diverse lingue.

Šehić è non solo una delle più importanti voci della Bosnia Erzegovina dopo il recente conflitto, ma è anche, soprattutto, una delle penne più interessanti del panorama letterario internazionale contemporaneo. Il suo romanzo Il mio fiume, tradotto sempre da Elvira Mujčić e pubblicato anch’esso da Mimesis Edizioni, nel 2013 ha vinto l‘EU Prize for Literature.

Nei quindici racconti che compongono Racconti a orologeria è che come se l’autore chiedesse al lettore di entrare all’interno di un orologio meccanico, con i suoi piccoli e perfetti meccanismi di lancette e rotazioni e, una volta dentro, di osservarne la scissione che inevitabilmente accade dopo una guerra. Esiste un prima e un dopo ogni guerra, e nei racconti di Faruk Šehić il prima e il dopo si fondono. Il tempo passato, a sua volta duplice (il tempo dell’infanzia e dell’amore prima della guerra, e quello della guerra vissuta) e il tempo presente (quello della guerra che come un’ombra segue e segna la vita post-conflitto) sono incastonati in un unico corpo.

I personaggi di questi racconti, e l’autore stesso prima di tutti, sono stati, o sono sul punto di essere, testimoni della Storia, di quel tempo cioè in cui sono divenuti, loro malgrado, corpi veri sulle lancette di un orologio impazzito. In quanto testimoni di quel tempo – lo hanno abitato: sono stati carne e sangue sulle lancette che giravano a una velocità supersonica – lo possono raccontare. Il prima, il durante, il dopo l’apocalisse. Chi scrive è testimone.

“So già dove finirò. Ho il presentimento di quale sarà la mia ultima forma. Sarò un gatto bianconero sotto la carrozzeria di una macchina bruciata in via Reuf Selmanagić Crni, a Srebrenica, l’11 luglio 1995. […] Vedrò tutto e ricorderò ogni cosa. Devo fare così. Qualcuno dovrà testimoniare in futuro. Qualcuno dovrà continuare a dimostrare che il crimine c’è stato, che gli ebrei non si erano intossicati da soli nelle camere a gas. Per questo ho deciso di essere il portavoce dei morti.”

Il racconto di quel tempo impazzito diventa l’unico dovere sentito in un mondo che altrimenti, sembra voler dire l’autore, si vorrebbe vedere solo dalla superficie di un altro pianeta: “ricordare il mondo scomparso per capirlo e poi dimenticarlo per sempre”, e finalmente abitare in maniera totale una nuova dimensione spazio-temporale.

Il lettore è condotto con maestria all’interno di questo meccanismo in cui il tempo si restringe e si dilata fino a esplodere, per poi ricomporsi in una nuova forma, a sua volta continuamente oscillante, mutevole.

Come in tutti i suoi lavoriricordiamo qui Ritorno alla natura (poesie; LietoColle ed.), vincitore nel 2019 del Premio Internazionale Camaiore; lo splendido Il mio fiume; e Under Pressure (racconti; trad. inglese di Mirza Purić per Istros Books) –, anche in questa raccolta il linguaggio crudo e quello poetico si fondono e convivono in un moto oscillatorio che si rivela armonico, fluido. Non ci sono attriti tra le immagini di morte e di vita, perché Faruk Šehić le possiede entrambe in maniera intima, non artificiosa. In questo senso l’autore diviene un po’ come un buon vicino di casa che accende la luce delle sue stanze per illuminare il cammino di un bambino spaventato dal buio che ha divorato la strada che lo riconduce a casa. Lo stile inconfondibile di Faruk Šehić è in grado di mostrare al lettore quanto la strada è oscura e ferita, e al contempo afferma che lui c’è, è presente sul nostro cammino e saprà farci dono anche della sua poesia più luminosa.

 

Racconti a orologeria, di Faruk Šehić

(traduzione di Elvira Mujčić; Mimesis Edizioni, dicembre 2020)

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