Nell’estate del 1975 un gruppo di ragazzi californiani rinnovò la disciplina dello skateboard, facendola risorgere dalla tomba in cui era stata relegata. Qualche anno dopo tutto il mondo occidentale impazziva per la tavola a rotelle e la Turchia, sospesa da sempre tra oriente e occidente, non fu insensibile a quella piccola rivoluzione.
In Italia, quando la scena esplose, i ragazzi che con lo skateboard si riversavano nelle piazze, fino ad allora dominio esclusivo di piccioni e anziani, venivano visti come un corpo estraneo. “In Turchia è ancora così”, raccontano alcuni skater turchi: “Nelle grandi città le persone sono un po’ più abituate al fenomeno, ma alcuni nostri amici che vivono in centri urbani minori sono visti come degli alieni. La scena turca dello skateboarding è iniziata nei primi anni Ottanta e sappiamo che allora era molto peggio, ma la verità è che le cose non sono cambiate granché. Anche se negli ultimi dieci anni c’è stata una vera e propria esplosione di questo sport, il fenomeno è ancora visto come un passatempo stravagante.”
Eppure, lo skateboard è ora riconosciuto dal governo: esiste una federazione ufficiale e i suoi atleti, nell’ottobre del 2018, sono volati a Nanchino in Cina per partecipare ai campionati del mondo. Nonostante questo, però, “al di fuori di Istanbul se skateri per strada c’è ancora un’alta probabilità di venire alle mani con qualcuno che si sente infastidito dalla tua presenza, oppure di venire allontanati dalle forze dell’ordine”, afferma uno skater da noi intervistato, “ma va bene così: in fondo rientra tutto quanto nello spirito di infrangere le regole proprie dello skateboard, o no?”.
Lo skate, infatti, non è mai stato soltanto uno sport. Ridefinire le proprie ambizioni personali e la propria concezione dello spazio e del tempo, in funzione di una tavola a rotelle e di linee mentali trasposte sull’asfalto, porta le persone ad allontanarsi da quegli interessi che la società capitalista tende a far passare come necessità collettiva.
Skate and Destroy… Inch’Allah!
In tutto il pianeta lo skateboard ha prodotto una propria cultura e delle micro-comunità con delle regole caratteristiche. Anche nella terra che fu di Atatürk le cose non sono diverse; da Istanbul ad Ankara squadre di skater si muovono per le strade alla ricerca di nuovi modi per valorizzare l’opulenta architettura ottomana.
Come il movimento punk, anche la sottocultura skate ha avuto i suoi problemi in Turchia, quando agli inizi degli anni Ottanta – nel momento in cui in Europa la disciplina aveva la sua prima, larga, diffusione – il putsch militare dette un duro colpo a un movimento che certo non era in sintonia con l‘ideologia turco-islamica che il regime tentò di imporre al paese. Eppure, qualcuno continuò a skateare, passando il testimone alla generazione successiva che, negli anni Novanta, fece crescere la scena fino a portarla ai livelli attuali.
Ora, nonostante i problemi, ci sono moltissimi skater nelle città e, negli ultimi sette anni, sono nati diversi marchi ad hoc: SBT Skateboards, The Roof Skateboards, Noire Skateboards, Ala Skateboards, Bullshit Reaction, solo per citare i maggiori.
Il paese però è peculiare: millenni di crogiolo culturale hanno instillato, nell’animo dei turchi, la tendenza all’elaborazione del diverso, all’assorbimento degli stimoli esterni e alla loro metabolizzazione in forme originali, creando mix incredibili di cultura tradizionale e influenze aliene. Così è anche per lo skateboard dove tutto quanto tende ad assumere un carattere finemente ottomano: un esempio lampante sono i brand sopra citati, la maggior parte dei quali utilizza riferimenti alla cultura turca nella grafica, nel design e nei video promozionali.
Nonostante l’ambiente skate sia – in potenza – portatore di istanze sociali che provengono dal basso e condivida, spesso, spazi e immaginario con una certa galassia movimentista, gode di una salute migliore di quella di cui godono altri fenomeni underground nella Turchia odierna. Questo probabilmente perché, nonostante gli skater ritengano che “tra di noi religione, razza e lingua non importano. Ogni volta che dici ciao, tutti sono pronti ad accettarti. L’unica cosa che non è benvenuta è la mancanza di rispetto”, questo tipo di atteggiamento – così come le rivendicazioni di espressione e libertà individuale – rimane qualcosa che resta chiuso nella sottocultura che l’ha generato.
Non si rivendicano le proprie istanze, si vive ai margini, rispettando le proprie regole e rifiutando, al limite, gran parte dei valori condivisi dalla propria società. Finché esiste uno spazio per fare quello che si vuole, non si vede motivo per mettersi in contrasto aperto con le istituzioni.
Immagine: Aurore Roussel per Skateism.com