Il 21 dicembre è l’ultimo dei tre giorni di lutto nazionale indetti in Armenia per commemorare le vittime della guerra in Nagorno-Karabakh contro l’Azerbaigian e iniziati sabato scorso con una processione per le strade di Erevan guidata dal primo ministro, Nikol Pashinyan. Il premier, però, è stato accolto da contestatori che lo apostrofavano come un traditore, mentre lo stesso giorno l’opposizione ha condotto la sua processione in ricordo delle vittime, a cui hanno partecipato in 20mila. Uno sciopero nazionale contro Pashinyan è stato indetto per il 22 dicembre.
Negli occhi dell’opinione pubblica armena, Pashinyan è l’uomo che ha perso il Nagorno-Karabakh, forse per sempre, e sarà quasi impossibile scrollarsi di dosso questa pessima reputazione. E se Pashinyan, intervistato da Radio Free Europe, sostiene di non avere da solo il potere di indire nuove elezioni, come vorrebbe l’opposizione, alcuni esponenti del suo partito sarebbero pronti a negoziare sulla possibilità di elezioni anticipate, un segno che il premier sta perdendo consensi anche tra le fila dei suoi alleati.
Aliyev festeggia la vittoria a Baku
A Baku la situazione è uguale e contraria: anche lì si è svolta una manifestazione per ricordare la guerra, ma si trattava di una trionfale parata militare per festeggiare la vittoria, con oltre 3mila soldati e alla presenza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che si è congratulato con l’omologo azero Ilham Aliyev, in qualità di ospite d’onore.
Se la guerra ha fatto perdere popolarità a Pashinyan, per Aliyev ha contribuito a un netto miglioramento della sua reputazione. Il controllo del Karabakh è una colonna portante dell’identità nazionale azera e, se prima molti azeri erano indifferenti verso il loro presidente, ora si mostrano sempre più entusiasti nei suoi confronti. Sul Karabakh sono tutti d’accordo, anche l’opposizione: il conflitto sembra essere servito da spinta unificatrice per l’Azerbaigian.
Aliyev può vantarsi di essere il leader azero che farà ritornare i rifugiati degli anni Novanta nelle loro case in Nagorno-Karabakh, ma nella realtà dei fatti la situazione è ben diversa: si stima che ci vorranno almeno tre anni per rimuovere mine e altri esplosivi presenti sul territorio, e la ricostruzione degli insediamenti rasi al suolo potrebbe costare anche 100 miliardi di dollari.
Per saperne di più: Cronache di guerra dal Nagorno-Karabakh. Tutti i nostri articoli
Una tregua fragilissima
È intanto iniziato, il 14 dicembre, lo scambio di prigionieri tra Baku e Erevan previsto dall’accordo di pace, con 12 ex-prigionieri arrivati in Azerbaigian e 44 in Armenia. Ma arrivano i primi segni che la tregua non è destinata a durare: la scorsa settimana decine di soldati armeni sono stati catturati dall’esercito azero, dopo scontri nei due villaggi di Khtsaberd e Hin Tagher in seguito ai quali quattro soldati azeri sono rimasti uccisi.
Le due parti si accusano a vicenda di aver iniziato gli scontri nei due villaggi, che sono al centro di una controversia causata dalle mappe dei peacekeeper russi. Il 13 dicembre, il ministro della Difesa russo ha pubblicato una mappa in cui Khtsaberd e Hin Tagher erano assegnati all’Armenia, mentre nelle mappe precedenti erano destinate all’Azerbaigian. La carta è stata aggiornata nuovamente il 14 dicembre, riassegnando le due località a Baku e sottolineando i tanti punti rimasti in sospeso nell’accordo di pace del 9 novembre.
Intanto emergono prove di trattamenti disumani contro i prigionieri di guerra: Telegram e Instagram sono inondati da video in cui prigionieri armeni sono colpiti da bastoni, costretti a inginocchiarsi e a dichiarare che il Karabakh è azero; non mancano video ancora più scioccanti di decapitazioni. In altri video, invece, le vittime sono azere.
Amnesty International ha analizzato i materiali e ha lanciato un appello affinché entrambi i governi assicurino alla giustizia i responsabili delle atrocità. Per ora Baku ha arrestato quattro soldati, accusandoli di aver mutilato i corpi di prigionieri armeni.
Fine ufficiale del conflitto, ma non dell’instabilità
In generale quello che rende la tregua instabile in Nagorno-Karabakh è la mancanza di volontà da parte di Erevan e Baku di normalizzare le relazioni. Olesya Vartanyan, analista dell’International Crisis Group, sottolinea come entrambe le parti siano insoddisfatte rispetto ai termini dell’armistizio e cercheranno di spostare la linea di contatto a proprio vantaggio, anche a spese dei civili che abitano sul confine.
La strada per la pace è dunque ancora lunga e piena di ostacoli, e Vartanyan suggerisce l’istituzione di incontri regolari tra leader armeni e azeri, magari sotto mediazione russa; una pratica standard per la risoluzione di conflitti, ma mai applicata per il Nagorno-Karabakh.
Per Thomas De Waal di Carnegie Europe, la strada dei negoziati passa necessariamente attraverso il gruppo di Minsk, unica struttura di dialogo presente, che avrebbe però perso legittimità a causa del supporto della Francia nei confronti degli armeni. De Waal auspica anche un ruolo più di peso di Nazioni Unite e Unione Europea per risolvere il conflitto, ma sottolinea come la normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Azerbaigian sarà impossibile se Baku e Erevan non si mostreranno veramente interessati.
Immagine: Davit Hakobyan