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TURCHIA: L’estate senza fine dei surfisti del mar Nero

Sulle coste del mar Nero la comunità di surfisti turchi vanta una tradizione locale antica di migliaia di anni che, recuperata e filtrata attraverso la maglia edulcorante della surf culture californiana, ha dato vita a una scena peculiare e conformista allo stesso tempo.

Sognando la California

“Le cose importanti nella vita sono tre: surf, surf, surf”. Questa semplice affermazione, uscita dalla bocca di Jack O’Neill – iconico e compianto personaggio del mondo del surf, barba lunga e una benda sull’occhio sinistro – è rappresentativa dello spirito che anima la comunità surfistica turca, così come dell’atteggiamento di un buon numero di surfer sparsi per il globo.

Oggigiorno in Turchia, nonostante possa suonare strano, il surf sta diventando sempre più popolare; si surfa su una larga porzione della costa occidentale del mar Nero e i praticanti sono in costante aumento, così come lo è il numero di spiagge attrezzate e di scuole dedicate al surf, di cui la Danube surf school è l’esempio più evidente. Sebbene la scena californiana sia un punto di riferimento imprescindibile, nell’approccio turco alla disciplina ci sono delle differenze sostanziali rispetto all’originale, a partire dal rapporto che i surfisti intrattengono con la società. Al contrario di quanto accaduto oltreoceano, dove la controcultura del surf ha finito per lasciarsi normalizzare e addomesticare, il surf turco ha seguito altre strade, determinate anche dalle sue particolari e antiche origini.

La via turca del surf

In Turchia il fenomeno ha assunto caratteristiche particolari: l’arte di cavalcare le onde ha, in questo paese, basi solide come il granito. Oltre un millennio fa, infatti, ci fu una popolazione di greci del Ponto che si stabilì lungo le coste del mar Nero, nell’attuale Turchia nord orientale.  Da questa comunità emerse la tradizione del Viya, una pratica in cui i pescatori provenienti dai villaggi costieri si cimentano fin dalla notte dei tempi e che consiste nel cavalcare le onde a corpo libero (quello che in gergo si chiama bodysurfing) durante le frequenti tempeste invernali. Senza conoscere il surf tradizionale, questi pescatori surfano le onde del mar Nero da prima che sorgesse l’impero Ottomano. La tradizione è stata tramandata nei secoli e, ancora oggi, si possono trovare gruppi di bodysurfer sulla costa nei pressi del borgo di Rumeli Feneri, a nord di Istanbul. 

La surf culture in Turchia non è nata come fenomeno underground”, racconta un surfista di Babali“al contrario, abbiamo sempre cercato di far passare alla comunità quello che facciamo. Se fossimo un fenomeno underground saremmo autoreferenziali e non è questo il nostro obiettivo. Noi vogliamo che la cultura del surf metta basi solide nel nostro paese”. “Il Viya esiste da sempre”, e aggiunge: “l’arte di cavalcare le onde è nel sangue degli abitanti delle coste del mar Nero, fa parte delle nostre radici, anche se adesso è tutto diverso. Siamo legati a quella cultura ma, in qualche maniera, possiamo dire che ne siamo lontani. All’inizio, quando ci vedevano in giro con le tavole da surf ci prendevano per pazzi e le forze dell’ordine ci intimavano di uscire dal mare, perché secondo loro era pericoloso. Oggi è diverso, tutti ci sostengono.”

Il rapporto di questi ragazzi con la società e le sue leggi non sembra affatto conflittuale e, dalla conversazione con il nostro interlocutore, sembra non emergere alcuna preoccupazione riguardo gli avvenimenti complessi che interessano il paese. “Ci sentiamo parte di un movimento globale e, come surfisti, quello che ci interessa di più è surfare, farlo il più possibile, indipendentemente da tutto”, risponde quando gli chiediamo se anche in Turchia i surfisti abitino un mondo proprio, fatto di regole non scritte e, in qualche modo, in contrasto con quelle esistenti. “Il governo ci sostiene”, spiega, “perché sa che il surf può essere un elemento di sviluppo molto importante per certe aree del nostro paese.”

La comunità surfistica turca – intesa nella sua generalità e senza tenere conto delle sensibilità del singolo – pare vivere la propria realtà in totale armonia con l’ambiente che la circonda, magari slegata dalle dinamiche tradizionali della cultura del proprio paese, ma lontana anche dai problemi complessi che animano la società che la circonda, persa com’è nella ricerca spasmodica di un’estate senza fine sulle rive del mar Nero.

Immagine: Wikimedia commons

Chi è Dario Nincheri

Dario Nincheri, archeologo, ha vissuto a Betlemme e in Galizia. Studente magistrale di archeologia orientale e appassionato di Medio Oriente, per East Journal si occupa soprattutto di Turchia.

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