Nell’articolo precedente di questa rubrica abbiamo approfondito la corrente intellettuale dello Slavofilismo.
Lo slavofilismo fu una reazione ai cambiamenti che presero luogo a partire dalle riforme pietrine. Secondo i suoi sostenitori, i processi di modernizzazione, di secolarizzazione e razionalizzazione sono d’importazione europeo-occidentale, estranei quindi alle tradizioni slave. I valori dell’Illuminismo avevano deviato la Russia, pertanto l’obiettivo di slavofili come Aleksej Chomjakov era quello di rivitalizzare l’antica Russia “nella bellezza originaria di una società che unisce il modo di vivere patriarcale della provincia e il significato profondo di uno stato dal volto morale e cristiano”.
Alla ricerca di una sintesi tra Occidente e Russia
Ivan Vasil’evič Kireevskij (1806-1856), uno dei rappresentanti più interessanti dello slavofilismo, costituisce una voce alternativa a questa visione idilliaca del passato. Nella sua risposta a Chomjakov, si oppose alla sua utopia conservativa che inneggia a un ritorno al passato. Nonostante la sua ammirazione per la Russia antica e le sue tradizioni, Kireevskij sostiene che cercare di riportarle indietro in un contesto storicamente diverso sarebbe come “trasferire una ruota da una macchina a un’altra di diversa costruzione e dimensione: in tal caso o la macchina o la ruota si spezzerebbero”. Quello che entrambi i pensatori ammiravano della Russia antica era la “completezza della vita”, un’unità tra fede e ragione. Tuttavia, Kireevskij sosteneva che questa unità non poteva essere ottenuta cercando di riprodurre il passato, né tantomeno seguendo l’Illuminismo europeo, bensì raggiungendo una sintesi tra l’occidente e la Russia.
Nato all’interno di una famiglia aristocratica, Kireevskij studiò all’università di Mosca e, come previsto dall’etichetta del tempo, intraprese degli studi a Berlino e Monaco, dove incontrò Hegel e Schelling. Kireevskij provò a un tempo attrazione e repulsione rispetto ai risultati culturali ottenuti dall’Europa occidentale e questa ambivalenza si riflette sui suoi interessi filosofici.
Un ritorno alla filosofia astratta
Nella sua opera principale, Sulla necessità e possibilità di nuovi principi in filosofia, Kireevskij parla del progresso della filosofia come un avanzamento del pensiero sistematico che ha permesso agli esseri umani di soddisfare le proprie curiosità e ordinare la propria conoscenza. La filosofia non carpisce verità diverse rispetto a quelle religiose, pertanto non può essere considerata superiore. Lo sviluppo del razionalismo europeo era per lui un circolo chiuso; i filosofi continuano a prendere strade diverse per poi convergere nello stesso punto d’incontro. La soluzione per uscire da questo circolo vizioso è trascendere i limiti del razionalismo, ovvero un ritorno alla filosofia astratta, alla religione e un cambiamento nel carattere stesso del pensiero e della cognizione: il raggiungimento di un’unità di mente e cuore.
Autori come Pascal e Schelling avevano provato ad ovviare a questo problema, ma il loro fallimento secondo Kireevskij era stato predeterminato dalla natura stessa delle loro riflessioni razionali. La filosofia, nonostante tutta la sua influenza nella società, dipende dal “carattere della fede dominante”. Anche se può arrivare a contraddire la fede, o non deriva direttamente da essa, scaturisce comunque da quel peculiare orientamento della mente che è dato dalla fede. Il suo orientamento verso la fede ortodossa marcò quindi il suo progetto di una “nuova filosofia”, originatasi in concomitanza al sogno slavofilo di una nuova scienza nazionale, che avrebbe finalmente realizzato l’armonia tra fede e ragione.
L’esperienza culturale europea è vista da Kireevskij come un passo importante per la realizzazione di una nuova filosofia. Il razionalismo europeo ha peccato di presunzione nel pensare di poter arrivare alla verità tramite deduzioni razionali. Tuttavia, Kireevskij vide negli sviluppi della filosofia tedesca, soprattutto in Schelling e Hegel, i primi segnali di rinuncia a questa presunzione, che marcano l’inizio di una nuova concezione della ragione. La conoscenza non sarebbe più stata raggiunta tramite sistemi filosofici, ma attraverso un’esplorazione della coscienza pubblica e uno sforzo intellettuale collettivo mirato all’amore del sapere. Quello che intende con coscienza è “il nucleo vivente comune nel profondo dell’anima per tutte le forze separate della ragione, nascosto dallo stato insolito dello spirito umano, ma accessibile a chi lo cerca. Tale coscienza eleva costantemente il modo di pensare dell’uomo e, pur umiliando la sua presunzione razionale, non limita la libertà delle leggi naturali della sua ragione”.
Purtroppo Kireevskij non realizzò mai questa sua nuova filosofia, ma morì prima di terminare la sua opera. Rimane in ogni caso un rappresentante importante di uno slavofilismo orientato al futuro.
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