Polonia e Giappone sono forse gli unici due paesi al mondo ad aver avuto una guerra che non solo non è stata, di fatto, combattuta, ma che è stata perfino rifiutata da uno dei contendenti come “non seria”.
I rapporti
I legami di amicizia fra Polonia e Giappone risalgono alla fine dell’Ottocento, quando il Giappone, sull’onda della propria modernizzazione, espande la propria rete diplomatica in Europa e nel mondo. È un periodo di tensione con la Russia, che sfocerà poi nella guerra russo-giapponese del 1904-05, e Tokyo ha un forte interesse a conoscere meglio il proprio avversario e i numerosi popoli che abitano questi territori occidentali.
La Polonia è uno di questi. La prima figura di spicco tra i legami fra i due paesi fu Yasumasa Fukushima, generale dell’esercito imperiale, noto principalmente per il suo eterodosso lavoro di diplomatico. Poliglotta eccezionale, Fukushima si fece un nome a Berlino e da lì s’imbarcò per un viaggio a cavallo in solitaria attraverso l’intero impero russo. Qui intesse contatti con la resistenza in Polonia e con gli esiliati polacchi in Siberia.
Tramite Fukushima, volto ben noto al pubblico giapponese del tempo, la Polonia godette improvvisamente di una certa notorietà nel paese del Sol Levante. Il paese si guadagnò la simpatia dell’opinione pubblica per la sua lotta contro gli occupanti e per la sua capacità di mantenere la propria identità anche sotto il giogo russo. Scrittori come Tokai Sanshi e Ochiai Naobumi dedicarono parte delle proprie opere alla Polonia, dandole un alone romantico agli occhi dei giapponesi.
Quando la Polonia divenne indipendente dopo la Prima guerra mondiale, Varsavia mandò un console a Tokyo e Tokyo viceversa uno a Varsavia. Il governo giapponese mandò anche aiuti ai bambini polacchi in Siberia, discendenti degli esiliati, che soffrivano le conseguenze della guerra civile russa. È proprio in quel periodo che i rapporti raggiungono livelli di profondità inaspettati. Il Giappone e la Polonia sono uniti dall’inimicizia per l’Unione sovietica, una minaccia per la sopravvivenza della seconda e per le ambizioni imperiali del primo. I polacchi sono dunque ben felici di aiutare i giapponesi a danneggiare le capacità sovietiche: ad esempio, Varsavia mandò allora una squadra di tecnici radio ad addestrare i giapponesi nel rompere il codice dei segnali radio sovietici.
Spie polacche, passaporti giapponesi
La cooperazione più inattesa, però, è nell’ambito dello spionaggio e del servizio diplomatico. Dopo l’invasione della Polonia nel ‘39, le ambasciate e i consolati giapponesi fornirono passaporti diplomatici a numerosi polacchi e si servirono delle loro capacità per guadagnare intelligence preziosa. Fidandosi poco del proprio alleato tedesco, i giapponesi crearono una rete di spionaggio polacca nella propria ambasciata a Berlino. La rete rimase in funzione fino al 1941, quando il controspionaggio nazista riuscì a smantellarla. L’ambasciata polacca a Tokyo, gestita dal governo in esilio a Londra, continuò a funzionare finché le pressioni tedesche non la fecero chiudere nel 1941.
La cooperazione fra le reti di spionaggio polacche e il servizio diplomatico giapponese fu particolarmente forte nella neutrale Svezia e a Kaunas, in Lituania. Qui il console giapponese, Chiune Sugihara, con l’aiuto della resistenza polacca, distribuì visti di transito a 6000 ebrei, molti dei quali rifugiati polacchi, portandoli in Giappone e salvando le loro vite. Per il proprio operato, Sugihara fu in seguito riconosciuto come “giusto fra le nazioni” dallo Yad Vashem, l’ente dedicato alla memoria della Shoah a Gerusalemme. Sugihara fu, fino al ‘42, anche il centro vitale di una rete di spionaggio che monitorava gli spostamenti delle truppe naziste in tutto lo scenario orientale.
Guerra, ma non sul serio
Questa cooperazione non fu interrotta nemmeno da una delle dichiarazioni di guerra più assurde della storia. Dopo l’attacco a Pearl Harbor e la conseguente entrata in guerra di Regno Unito e Stati Uniti contro il Giappone, il governo polacco a Londra si trovò costretto a compiacere i propri alleati e a dichiarare guerra all’amico nipponico. A Tokyo, tuttavia, la cosa non fu presa sul serio: il primo ministro Hideki Tojo si rifiutò di accettare la dichiarazione di guerra, bollandola quasi come una boutade, una mera formalità compiuta dal governo polacco sotto ricatto degli inglesi.
Per via dell’instaurazione del regime comunista in Polonia e del suo ingresso nel blocco a guida sovietica, la pace fra i due paesi verrà firmata solo molti anni dopo la fine della guerra, nel 1957. I rapporti resteranno poco sviluppati fino alla crollo del comunismo, quando comuni interessi economici e politici permetteranno a Varsavia e Tokyo di rinnovare i propri legami, ora centrati sulla cooperazione in settori tecnologici e sull’investimento diretto giapponese sulla Vistola.
Foto: Il console giapponese Chiune Sugihara con la famiglia a Kaunas (The Guardian)