Dopo il fallito golpe del luglio 2016 la situazione, in Turchia, si è fatta complicata. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha rafforzato la sua presa nel paese non mancando di mettere in pratica misure che l’opposizione interna ha riconosciuto come parte della volontà di autoritarismo di cui lui e il suo partito – l’AKP – sono portatori in-sani. Eppure la Turchia continua a produrre controcultura, e come riesca a farlo nonostante la complessa situazione politica è uno degli aspetti interessanti dell’antica terra ottomana.
L’apparato di potere turco è popolato da diversi attori, esercito e associazioni religiose in primis, che agiscono all’interno di reti parallele alla struttura burocratica ufficiale formando, di fatto, uno stato all’interno dello stato. Tra di essi Hizmet, potente e diffusissimo movimento religioso e culturale, il cui fondatore Fethullah Gülen (predicatore, ex amico ed ex alleato di Erdoğan – ne abbiamo parlato qui) è stato il primo a finire sul banco degli imputati, accusato di essere l’ispiratore e la mente organizzatrice del tentato putsch del luglio 2016. Da allora la caccia all’untore golpista si è mischiata alla paranoia, trasformandosi in una purga che ha portato in carcere decine di migliaia di persone, tra cui centinaia di giornalisti, scrittori, insegnanti e uomini e donne di cultura.
L’istituzione dello stato di emergenza ha permesso al governo di sbarazzarsi di quella parte di dipendenti pubblici che riteneva ostili (all’interno dell’esercito, dell’istruzione, della giustizia e della polizia) e di rafforzare il controllo sui media. In uno stato di cose così complesso, qual è, allora, la situazione degli anarchici delle case occupate dell’area residenziale di Kadıköy e della ricca scena punk di Istanbul?
Punk is dead?
Per trovare il punk è sempre opportuno andarlo a cercare in quegli spazi di cultura indipendente che la gioventù riesce a strappare alle strette maglie della società. Fino a novembre 2016, a Kadıköy (sulla sponda orientale di Istanbul) c’era un piccolo squat chiamato Don Quixote, sede di una serie di attività sociali che spaziavano dalle mostre, ai forum, ai concerti, alle attività artistiche, fino alle immancabili lezioni di yoga. Il Don Quixote, però, nel novembre 2016, è stato definitivamente sgomberato, assieme a molti altri spazi occupati.
Gli eccessi autoritari del governo turco nei confronti dei gruppi antagonisti, infatti, si susseguono dai giorni di Gezi Park del 2013, ma è innegabile che il nuovo contesto, introdotto dal semi-golpe di quattro anni fa, abbia avuto ripercussioni sull’approccio, da parte dell’esecutivo, alla democrazia, alle manifestazioni e al dissenso.
Lo stato di salute dei luoghi di aggregazione spontanea come gli squat di Kadıköy è un termometro importante per misurare il margine che l’espressione di sé, di cui il punk è una delle sfaccettature, riesce a prendersi. Non sempre attivismo politico e un certo tipo di musica vanno a braccetto, ma spesso condividono gli stessi spazi e, al netto della situazione, c’è da dire che molte associazioni sono ancora attive e la ricerca di nuovi squat per i collettivi anarchici (DKK tra tutti), seppur non semplice, è ancora prioritaria.
Anche i luoghi dove si suona dal vivo non sono pochi; a Istanbul, in particolare a Kadıköy e Moda Area, ci sono diversi locali punk e metal tra cui il Karga Bar, dove sono state girate alcune scene di Arada, il primo film sulla storia del punk turco, realizzato nel 2018, che ha spopolato nel paese.
Punk turco da ascoltare
Secondo il libro Being Punk in Turkey, “tutto è iniziato dopo il colpo di Stato militare del 12 settembre 1980 quando l’unico spazio per i giovani che rifiutavano di accettare quella società assimilata e disumanizzata fu il punk”. Non tutto oggi è andato perduto; le band non mancano, anche se punk più per attitudine, che per ortodossia al classico sound del ’77.
Ci sono gli Haossaa, una delle proposte più radicali del panorama musicale, i Reptilian from Andromeda, più leggeri e attivi dal 2013, con influenze grunge, punk e garage in cui spicca la voce femminile di Aybike Celik Ozbey. Politicamente schierati sono i Tampon, la cui frontwoman Asli canta l’anticapitalismo e la preoccupazione di una generazione per la condizione femminile.
Nel solco del punk più classico si muovono i Project Youth, strizzando l’occhio alla prima scena inglese con testi, come Sharia Hurts in Middle East, che non lasciano spazio a interpretazioni.
Infine c’è Gaye Su Akyol: la nuova regina di Istanbul si è fatta le ossa con i Bubituzak, storica band underground, ma adesso propone un’originale miscela di musica surf, tradizione anatolica e psichedelia che l’ha proiettata anche sui più importanti palchi occidentali.
Tutto sommato si può quindi dire che, anche se non sono gli anni d’oro della fine del millennio, la scena si difende e, sebbene il punk a Istanbul non goda di ottima salute, si può stare certi che per il momento non molla. In fin dei conti, si tratta di un movimento nato per stare dietro le barricate e le situazioni di conflitto sociale sono il suo habitat naturale.
Immagine: ARADA-Kivilcim_Gungorun