Il 28 novembre si celebra in Albania il giorno dell’indipendenza o giorno della bandiera, come viene anche definito. Fu proprio una bandiera in quel giorno del 1912, infatti – quella innalzata da Ismail Qemali a Valona – a sancire la fine dell’occupazione ottomana iniziata nel 1385.
Erano in quaranta, quel giorno, delegati da tutta la regione, rappresentanti di tutte le religioni: musulmani, cattolici, ortodossi. Insieme, firmarono la dichiarazione d’indipendenza, un documento di due pagine scritto in albanese, nei dialetti gheg e tosk, ma anche in turco ottomano.
Quattrocento anni di dominio ottomano
Ma la definizione di “giorno della bandiera” si deve a un altro episodio, altrettanto epico, quasi mitologico per l’Albania e per gli albanesi. Fu sempre il 28 novembre, ma del 1443, che Giorgio Castriota – detto Skanderbeg – riuscì a liberare dall’occupazione turca il principato paterno di Kruja, issando sulla torre maestra del castello il vessillo di famiglia. Una breve parentesi, questa, interrottasi 25 anni dopo, quando alla morte di Skanderbeg gli ottomani ripresero il pieno controllo del paese per non lasciarlo più per i 400 anni che seguirono.
Skanderbeg è ancora oggi considerato un eroe nazionale, un elemento unificante del sentimento di identità albanese, e il suo vessillo di famiglia, l’aquila nera a due teste su sfondo rosso, è tutt’ora la bandiera del paese.
A quel giorno l’Albania arriva, dunque, dopo un processo lunghissimo, fatto di sporadiche rivolte e di repressioni sanguinose ma, anche, di imposizioni, proibizioni e di un processo di islamizzazione. È in questo periodo che prendono il via le prime ondate migratorie, quella diaspora che a più riprese ha radicalmente – e irreversibilmente – modificato il tessuto sociale del paese.
La nascita del primo governo albanese
Si potrebbe pensare che a quell’epilogo si arrivi in modo quasi naturale, ovvero come naturale – e per verti versi inevitabile – conseguenza dell’ormai acclarato processo di dissolvimento dell’impero ottomano. Non è così, invece, perché l’ultima coda di quella che per secoli era stata una potenza mondiale offrì momenti di drammaticità estrema.
Il colpo di stato che nel 1908 aveva portato al potere in Turchia i cosiddetti Giovani Turchi non fece altro che approfondire il sempre più diffuso malcontento della gente ottenendo, quasi per paradosso, il rinsaldarsi di un sentimento di appartenenza nazionale, spesso offuscato da divisioni, interessi di campanile e dall’endemica frammentazione della società albanese. Sentimento che aveva cominciato a concretizzarsi qualche decennio prima – nel 1878 – con la nascita a Prizren, in Kosovo, dell’omonima Lega, che ben presto si prefissò il proposito di fondere le quattro provincie (vilayet) ottomane di Kosovo, Scutari, Monastir e Ioannina in un unico vilayet dell’Impero ottomano, il vilayet albanese. È a partire da quella data e da quell’episodio che si fa ricondurre l’inizio della Rilindja, il risorgimento albanese. Disattendendo amaramente quanto inizialmente sperato dagli albanesi, la politica dei Giovani Turchi si dimostrò tutta finalizzata alla centralizzazione e all’omologazione turco-ottomana dell’impero. Una strategia quantomeno intempestiva e miope nel contesto storico dato: oltre all’imposizione di nuove tasse venne infatti vietato l’utilizzo della lingua albanese nelle scuole e nei tribunali e molti capi locali furono sostituiti con funzionari turchi (Marino E. “Storia del popolo albanese dalle origini ai giorni nostri”, Donzelli Editore).
La reazione fu quasi immediata e le sommosse iniziate nel 1910 a Pristina e Scutari si diffusero ben presto in tutta la regione con alterna fortuna. Spiccano, in quegli anni, figure di primo piano come Hasan Prishtina (sarà lui a formulare le richieste di autonomia alla Turchia), Isa Boletini, comandante militare della “resistenza” albanese in Kosovo, o Luigi Gurakuqi, intellettuale e scrittore formatosi in Italia. Nel 1911 la Turchia si trovò impegnata anche contro un’Italia dalle rinnovate mire neocolonialiste, mentre è alle porte la Prima Guerra Balcanica che dall’ottobre del 1912 vedrà la stessa Turchia scontrarsi con Serbia, Montenegro, Bulgaria e Grecia, unite nella cosiddetta Lega Balcanica. Le medesime nazioni che, in quello stesso periodo, stanno progressivamente erodendo il territorio albanese, da nord a sud, con violenze che le cronache del tempo raccontano con toni drammatici: la Serbia verso Durazzo, il Montenegro nell’area di Scutari, la Bulgaria in quella di Ohrid e la Grecia, infine, in tutto il meridione.
Al punto che quando Qemali sventolò la famosa bandiera in quel novembre del 1912, la sua dichiarazione di indipendenza – resa comunque possibile, va detto, dai significativi successi militari ottenuti – fu quasi un atto simbolico, un gesto quasi disperato volto a fermare lo spolpamento in atto e a mettere l’Europa di fronte a quanto stava succedendo: in quel momento, infatti, il neonato governo provvisorio aveva il suo controllo solo su una manciata di chilometri intorno a Valona e poco più.
L’Albania e i suoi confini, un problema irrisolto
L’Europa effettivamente intervenne, tra interessi divergenti, diffidenze reciproche e gli equilibrismi tipici della realpolitik. Il riconoscimento è formalizzato quasi un anno dopo, il 29 luglio del 1913, a Londra, quando la Conferenza degli ambasciatori decreta ufficialmente la nascita dell’Albania come stato indipendente ma sotto il controllo delle potenze europee.
Ma è sui confini del nuovo stato che si concentrano le maggiori attenzioni e si registrano le maggiori tensioni: a nord, il Kosovo è annesso alla Serbia, a sud la Cameria è attribuita alla Grecia. Restano fuori dal nuovo Stato larghe fette di territori a maggioranza albanese, incluse città storiche per la cultura albanese come Prizren, Peja, Gjakova, Tetovo, Struga, Ulcinj, terre dove vivono centinaia di migliaia di persone. È così che contestualmente alla nascita dello stato albanese si creeranno i presupposti per nuovi conflitti e nuove rivendicazioni, tra sogni di Grande Albania e frustrante concretezza della realtà di fatto. Conflitti e rivendicazioni che anche in tempi recenti hanno avuto strascichi tragici e che sono, a tutt’oggi, ancora irrisolti.
Ma al giorno della bandiera – l’unica celebrazione che riunisce tutti gli albanesi, ovunque si trovino – l’Albania, oggi, arriva come un paese che ha saputo ritrovare una propria strada dopo l’occupazione nazi-fascista e la dittatura di Enver Hoxha e infine, dopo la profondissima crisi degli anni ’90. Un paese che prova a rinnovarsi ma anche un paese dalla credibilità internazionale crescente e nel pieno del processo di integrazione all’Unione europea.
Foto Albania News