città libera di danzica

STORIA: I 100 anni della città libera di Danzica

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Bandiera della Città Libera di Danzica

Il 15 novembre 1920 veniva ufficialmente istituita la Città Libera di Danzica. La città-stato sul Baltico sarebbe rimasta in vita per un ventennio, fino all’invasione nazista del 1° settembre 1939, casus belli della seconda guerra mondiale.

Il primo dopoguerra e la questione del corridoio polacco

Sistemare gli assetti territoriali dell’Europa centro-orientale al termine della grande guerra non era un gioco da ragazzi.

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Il corridoio polacco e la Città Libera di Danzica

Con la caduta degli imperi centrali e la nascita di molteplici nuovi stati-nazione, oltre che uno strascico di conflitti, la sistemazione delle frontiere prese tempo. I principi wilsoniani di autodeterminazione dei popoli, alla base dei trattati di Versailles del 1919, si scontravano spesso con esigenze geopolitiche. Il risultato fu una serie di compromessi e arbitrati, basati sulla supervisione internazionale di certi territori autonomi – come Fiume/Rijeka, sull’Adriatico, o Danzica sul Baltico.

Con la sconfitta dell’Impero tedesco, la Polonia nuovamente indipendente anelava ad uno sbocco sul mare. La città di Danzica, storicamente polacca, ne rappresentava l’obiettivo evidente. Ma nel primo novecento ormai l’intera popolazione della città era di lingua e cultura tedesca, e chiedeva a gran voce l’autodeterminazione a favore della Germania.

Il compromesso: Danzica “Città Libera”

Il Volkstag (Senato) di Danzica

Il compromesso trovato a Versailles fu di farne una città libera sotto protezione della Società delle Nazioni, sottratta sia alla sovranità della Repubblica di Weimar sia a quella della Polonia, con cui Danzica tuttavia sarebbe stata in unione doganale e a cui sarebbero stati riservati speciali diritti economici. Alla città-stato fu anche negato il diritto a fregiarsi del titolo di Città Anseatica all’interno del nome ufficiale, che sarebbe apparso irredentista.

Alla Polonia sarebbe invece andato un “corridoio” con sbocco sul mare, dove Varsavia finanziò la costruzione del porto di Gdynia. La Polonia avrebbe inoltre garantito la rappresentanza diplomatica della Città Libera di Danzica all’estero, gestito le linee ferroviarie e assicurato i commerci tramite una unione doganale. Anche la penisola di Westerplatte (fino ad allora una spiaggia cittadina) fu data alla Polonia, che vi creò un presidio militare all’interno del porto. Fu creato anche un ufficio postale polacco separato, oltre quello municipale già esistente.

Diversamente dai territori mandatari, affidati ad uno stato membro, Danzica (come la Saar) rimase sotto l’autorità della Società delle Nazioni, con rappresentanti di varie nazioni che ebbero il ruolo di Alto Commissario. Tra questi vi furono anche due diplomatici italiani: Bernardo Attolico nel 1920, e il filo-hitleriano Manfredi Gravina nel 1929-1932.

La Città Libera comprendeva Danzica, Zoppot (Sopot), Tiegenhof (Nowy Dwór Gdański), Neuteich (Nowy Staw) e altri 252 villaggi e 63 insediamenti per un totale di 1.966 km² e una popolazione di 357.000 persone nel 1919, il 95% delle quali era di lingua tedesca, mentre il resto parlava principalmente la lingua casciuba o il polacco. Con la creazione della città libera, i residenti di Danzica persero la cittadinanza tedesca: per riottenerla, avrebbero dovuto lasciare la città e trasferirsi entro il 1922 in territorio tedesco.

Il nazismo nella Città Libera negli anni ’30

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La Grande Sinagoga di Danzica

La soluzione imposta non trovò affatto il favore della popolazione di Danzica. Dopo un decennio di governo di Heinrich Sahm, e due anni di Ernst Ziehm (DNVP), nel 1933 Danzica elesse il primo capo di stato nazista, Hermann Rauschning, cui avrebbero fatto seguito Arthur Karl Greiser (1934-39) e Albert Forster.

Già nel 1933 i nazisti introdussero leggi anticattoliche (antipolacche) e antisemite; la Grande Sinagoga di Danzica fu demolita nel 1939. La città fulse anche da magnete per la minoranza tedesca in territorio polacco, tramite organizzazioni come il Jungdeutsche Partei (“Partito del Giovane Tedesco”) e la Deutsche Vereinigung (“Unione Tedesca”), poi confluiti nella Selbstschutz, che si sarebbe macchiata di omicidi e atrocità durante l’invasione tedesca della Polonia del 1939

Il partito nazista non aveva comunque i due terzi dei voti richiesti dalla Società delle Nazioni per mutare la Costituzione della Città Libera. Nonostante varie proposte di Berlino di rinegoziare la situazione di Danzica, il governo polacco oppose sempre un netto rifiuto, chiarendo che sarebbe intervenuto militarmente in caso di tentativi di cambiare lo status quo.

Danzica durante e dopo la seconda guerra mondiale

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Civili tedeschi lasciano Danzica, febbraio 1945

Il giorno dopo l’invasione tedesca, il 2 settembre 1939, il governo di Danzica votò per la riunificazione con la Germania, violando la propria Costituzione. Gli impiegati dell’ufficio postale polacco difesero l’edificio in armi per 15 ore, prima di arrendersi; furono quindi giustiziati, in violazione del diritto bellico. Le forze militari polacche in città resistettero fino al 7 settembre; circa 10.000 membri dell’intelligentsia polacca furono giustiziati entro le prime settimane dell’invasione. Danzica diventò teatro di discriminazioni, persecuzioni, uccisioni e deportazioni che colpirono ebrei e polacchi.

Il 30 marzo 1945 l’Armata Rossa entrò in città, ormai disabitata e ridotta in rovine. Alla Conferenza di Potsdam Stalin mise in chiaro che Danzica sarebbe rimasta alla Polonia. Nel 1947, 126.472 residenti di lingua tedesca furono espulsi da Danzica verso la Germania, e 101.873 polacchi della Polonia centrale e 26.629 polacchi della Polonia orientale annessa all’URSS, presero il loro posto. L’espulsione dei tedeschi da Danzica e dalla Prussia orientale non fu senza tragedie: circa 9.000 rifugiati (tra cui 1.000 soldati e marinai feriti) perirono quando la nave su cui erano stipati, la Wilhelm Gustloff, affondò il 30 gennaio 1945, colpita da un sottomarino sovietico. Nel 1950, circa 285.000 cittadini della ex Città Libera vivevano in Germania, mentre 13.424 avevano ricevuto la cittadinanza polacca. La città restò a lungo depopolata e non si riprese prima della fine degli anni ’50.

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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