Lo sport sta diventando sempre più un fenomeno di vaste dimensioni sociali e culturali, oltre che economiche, un settore meritevole di studio e approfondimento nei suoi rapporti con ciò che concerne le attività dell’uomo. Di esempi ne esistono a bizzeffe: dal ruolo dei cestisti e dei giocatori di football USA nei movimenti legati al Black Lives Matter, al recente conflitto in Nagorno-Karabakh che ha visto schierarsi diversi calciatori, a partire da Henrikh Mkhitaryan.
Ci sono alcuni casi però in cui la prospettiva si ribalta. Non sono più alcuni sportivi prominenti a esprimere la loro opinione verso un movimento politico o sociale (accolti molte volte con un desolante “shut up and dribble”), ma è il movimento stesso a prendere come icona predominante uno sport. Un fulgido esempio di questo tipo di fenomeno è costituito dalla Lituania e dal suo rapporto con la pallacanestro.
Una piccola incubatrice di cestisti d’eccezione
Questa piccola repubblica sul mar Baltico, grande quanto il centro Italia ma abitata da meno di tre milioni di persone, ha una storia molto giovane di indipendenza, essendo quest’ultima giunta solo nel periodo interbellico e poi di nuovo nel 1991. Eppure, i risultati raggiunti nelle competizioni internazionali di pallacanestro parlano chiaro: la nazione vive di basket, e la sua scuola è tra le più forti d’Europa. Basta andare in una qualsiasi città per accorgersi di come questo sport sia vissuto intensamente dai lituani.
C’è da dire che anche in Lituania tutto nasce da uno yankee, per quanto di origini locali. Abbiamo già raccontato la storia di Frank Lubin (Petras Lubinas), il cestista medaglia d’oro USA alle Olimpiadi di Berlino del 1936 che tornò poi in terra baltica a insegnare e diffondere la cultura del basket. La Lietuva di Lubin e Phil Krause vinse gli Europei del 1937 (contro l’Italia) e del 1939, con mezzo quintetto composto da americani di origini lituane. Scoppiò poi la guerra: Lubin e Krause tornarono negli USA e nel 1940 il paese baltico venne inglobato dall’Unione Sovietica.
Una coscienza nazionale soffocata
Per capire l’importanza della pallacanestro quale strumento identitario bisogna però fare un passo indietro nella storia del paese, tornando al Cinquecento e all’epoca della Repubblica delle Due Nazioni: l’Unione di Lublino del 4 luglio 1569 univa allora il Regno di Polonia con il Granducato di Lituania, venendo incontro agli interessi di entrambi i governanti di questi territori. Da parte lituana in particolare vi era il timore reale di un’avanzata russa verso ovest, cosa che circa 250 anni dopo effettivamente si realizzò, rendendo i lituani sudditi dell’impero zarista. Dalla seconda metà del Cinquecento quindi e fino alla fine della prima guerra mondiale, non si potrà più parlare di uno stato lituano autonomo e indipendente.
L’impero zarista di certo non promuoveva, ma limitava ogni forma di “coscienza nazionale” nell’ex Granducato di Lituania, come altrove. Dal punto di vista amministrativo, sociale ed economico, ai cittadini russi ortodossi era garantita la possibilità di fare carriera e di ottenere incarichi pubblici, mentre i lituani, per lo più cattolici, si ritrovarono privati della possibilità di determinare le sorti del proprio paese. Anche la lingua lituana venne declassata e vietata nel suo uso scolastico e pubblicistico. Inoltre, furono molti nei secoli gli ebrei che si trasferirono in queste zone remote e liminali dell’impero zarista, che in maniera esplicita ne favoriva il trasferimento (anche attraverso esenzioni fiscali).
I lituani costituivano una maggioranza compatta nelle campagne e di certo la politica zarista non ne favoriva un veloce inurbamento. Lo storico e filosofo Valdas Pruskus riporta che nel 1897 solo il 10% della popolazione di Kaunas era rappresentato da lituani autoctoni, percentuale che scendeva a un misero 1,5% a Vilnius. La politica e la proprietà terriera erano in mano soprattutto ad altri sudditi dell’impero zarista (principalmente polacchi o moscoviti), mentre il potere economico era spesso detenuto dalla borghesia ebraica.
Tuttavia, in seno soprattutto alla chiesa cattolica e alle università, nel corso dell’Ottocento si andò gradualmente sviluppando e coltivando un sentimento nazionale autenticamente lituano, che sull’onda del cosiddetto “Risveglio Nazionale” rinsaldò con veemenza le richieste di autodeterminazione, poi sigillate nel 1918 con l’Atto di Indipendenza.
Dall’impero zarista all’Unione sovietica
Ma torniamo alla metà del XX secolo. La seconda guerra mondiale è appena finita e la disfatta del Terzo Reich porta precise conseguenze sul Mar Baltico: le tre repubbliche invase dall’Unione Sovietica dopo la firma del Patto Molotov-Ribbentropp rimangono sotto il controllo diretto di Mosca. I grandi successi agli Europei pre-bellici non salvano il basket lituano, che viene inglobato nel sistema centralizzato sovietico: i migliori giocatori (e coach) divengono parte della squadra nazionale dell’URSS.
Sotto la pressione della propaganda dell’invasore e la minaccia delle deportazioni, il popolo lituano di nuovo si ritrova alle prese con una restrizione della propria espressione nazionale. Così si aggrappa a quegli ambiti in cui può distinguersi autenticamente: in primo luogo, la pallacanestro.
Lo Žalgiris Kaunas vince 5 titoli. Le sfide con il CSKA Mosca sono sempre molto sentite, seguite da migliaia di spettatori e, durante le finali, spesso si scorgono cori e striscioni contro quello che viene visto per lo più come un invasore. I cestisti lituani sono la colonna portante della nazionale sovietica: sono 50 le medaglie vinte dall’URSS con almeno un giocatore lituano in campo.
Crolla il muro, risorge la Lituania
La fine dell’Unione Sovietica ha visto la rinascita delle repubbliche baltiche, che dichiararono in fretta l’indipendenza. La prima chance per la Lituania di mostrarsi al mondo arriva ovviamente dal mondo del basket, con le Olimpiadi di Barcellona del 1992. La nazionale di Vilnius riesce ad arrivare al torneo grazie all’aiuto dei Grateful Dead, band americana che si sobbarca le spese del viaggio e finanzia il tutto con le iconiche t-shirt dove uno scheletro con la canotta lituana schiaccia a canestro.
La parte finale del torneo diventa uno di quei momenti catartici che solo lo sport riesce a creare: sconfitta dal Dream Team USA in semifinale, la Lituania incontra nella finalina per il terzo posto proprio la neonata Comunità degli Stati Indipendenti, trionfando. Su quel podio pieno di storie e di campioni, la bandiera a righe gialle verdi e rosse si mostra per la prima volta in mondovisione.
L’importanza di quella medaglia, e in generale della pallacanestro durante gli anni sovietici, è descritta bene dalle testimonianze degli stessi lituani. Secondo l’ex Presidente della Repubblica Valdas Adamkus, “durante i 50 anni di occupazione, il basket è stato espressione di libertà. L’intera nazione cercava di battere i russi e mostrare che in questo campo gli eravamo superiori”; Stanislovas Stonkus, cestista dello Žalgiris campione negli anni ’50, racconta come “il basket [abbia] contributo a formare l’immagine della Repubblica di Lituania come stato. Le competizioni alla Kaunas Sport Hall contro il CSKA e le altre squadre sovietiche simboleggiavano la nostra battaglia per la libertà“.
Si può dire che la pallacanestro sia stato il motore che ha mantenuto in piedi l’identità lituana nel secondo dopoguerra? Forse l’affermazione può sembrare eccessiva, soprattutto alla luce degli sforzi di tanti patrioti che si sono adoperati per sostenere la cultura locale. Tuttavia, la storia del basket in questo piccolo stato baltico non può che ricordare come, soprattutto nelle situazioni più difficili, lo sport ricopra un ruolo di primaria importanza nelle vicende sociali e culturali dell’uomo.
Foto: 15 min