Il 2020 segna, oltre al venticinquennale del genocidio di Srebrenica, anche quello degli accordi di Dayton. Siglati il 21 novembre nella base aerea di Dayton in Ohio, e firmati ufficialmente a Parigi il 14 dicembre successivo, come spesso citato gli accordi di Dayton misero fine alla guerra in Bosnia Erzegovina ma non prepararono il paese alla pace.
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Venticinque anni dopo, la Bosnia Erzegovina resta un paese fragile, la cui entità a maggioranza serba, la Republika Srpska, non ha mai messo da parte i disegni secessionisti, e in cui la frammentazione del potere politico e delle forze di polizia crea potentati locali proni alla corruzione.
La memoria divisa e le nuove commissioni storiche revisioniste
Nonostante la verità storica ormai ben stabilita, anche la memoria resta divisa, e continua a non esserci nel paese alcuna commemorazione congiunta, nemmeno delle vittime civili del conflitto.
La leadership politica serbo-bosniaca, guidata da Milorad Dodik, continua a negare la definizione di genocidio – come riconosciuto da due diverse corti internazionali – per il massacro di Srebrenica, in cui perirono oltre 8,372 civili bosniaco-musulmani. Nell’agosto 2018, a ridosso delle ultime elezioni politiche, il parlamento della Republika Srpska aveva votato per ripudiare la relazione del 2004 dello stesso governo dell’entità, in cui si riconoscevano i crimini commessi dalle milizie serbo-bosniache durante il conflitto del 1992-1995.
Allo stesso tempo, l’entità a maggioranza serba decise di istituire due nuove commissioni storiche internazionali sulla “sofferenza dei serbi a Srebrenica e a Sarajevo”. A capo di tali iniziative revisioniste, condannate da un gran numero di accademici, la leadership politica di Banja Luka, che gode di buoni rapporti con il Likud, ha chiamato storici dell’Olocausto come gli israeliani Gideon Greif e Raphael Israeli, già noti per aver pubblicamente espresso dubbi sulla natura genocidiaria del massacro di Srebrenica.
Lo scorso 23 ottobre, il premier della Republika Srpska Radovan Višković – lui stesso da poco messo sotto inchiesta per crimini di guerra a Srebrenica – ha annunciato che la prima relazione storica, quella sui serbi di Sarajevo, è stato consegnata al governo serbo-bosniaco. La data di pubblicazione resta ignota. Secondo le indiscrezioni, oltre a ripetere le note teorie del complotto sui massacri del Markale, il rapporto revisionista sosterrebbe che durante il conflitto Sarajevo non fosse sotto assedio, ma in situazione di “blocco”.
I cittadini di Sarajevo ricordano i civili serbi uccisi a Kazani
Nel frattempo, il 25 ottobre un gruppo di sarajevesi si è ritrovato presso la Fiamma eterna, dove è stata deposta una corona di fiori per ricordare e rendere omaggio ai civili serbi uccisi presso Kazani, sul monte Trebević, durante l’assedio. Un’iniziativa annuale della società civile, che ha preso il via nel 2015.
Nel 1992 e 1992, durante l’assedio, la milizia di Mušan Topalović “Caco” inquadrata nell’esercito della Repubblica di Bosnia Erzegovina (ARBiH) uccise brutalmente vari civili serbi presso le alture di Kazani. Per tale crimine di guerra 14 soldati furono condannati a pene da 10 mesi a 6 anni di carcere. Topalović rimase ucciso nel 1993, durante la fuga dopo l’arresto da parte della polizia e delle forze speciali bosniache. Finora dalla foiba di Kazani sono stati riesumati i resti di 23 persone, 15 delle quali sono state identificate: si tratta di cinque donne e dieci uomini, di cui due vittime ucraine, due croati, un bosniaco e dieci serbi.
L’Associazione per la ricerca sociale e la comunicazione (UDIK) ha rinnovato l’invito alle autorità cittadine a erigere un monumento alle vittime di Kazani. “Il monumento dovrebbe essere un esempio di confronto autocritico con i propri crimini, nonché un esempio dell’obbligo morale dei cittadini di Sarajevo di rendere omaggio ai loro concittadini uccisi a Kazani”. Secondo Husnija Kamberović, professore all’Università di Sarajevo, “affrontare queste pagine del nostro passato non è un segno di tradimento nazionale, ma di eroismo e umanità. In questo modo, difendiamo ancora di più ciò per cui abbiamo combattuto nella guerra. Possiamo rimuovere questa macchia dall’ARBiH dimostrando che non eravamo tutti uguali.”
L’allora presidente di turno della Bosnia Erzegovina, Bakir Izetbegović (SDA) aveva visitato Kazani nel 2016 – una prima volta per un leader politico bosgnacco. La Città di Sarajevo e l’entità della Federazione hanno approvato per il 2021 la sistemazione del sito, oggi inaccessibile, a memoriale.
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Foto: Klix.ba