Verso la conferenza di Sarajevo

Il prossimo 2 giugno Sarajevo sarà teatro della Conferenza Internazionale sui Balcani,  appuntamento fondamentale per la stabilità e il futuro della regione. Simbolo di questo futuro, non a caso, è Sarajevo. Qui si incontreranno i leader dei Paesi dell’area accompagnati da alcune “guest star” come Russia, Stati Uniti e Turchia. Sul piatto c’è l’ingresso nella Nato e nell’Unione Europea dei Paesi del Balcani Occidentali, ma molte sono le questioni da risolvere: la disputa sul Golfo di Pirano; l’indipendenza del Kosovo; la secessione in Bosnja; il contenzioso tra Macedonia e Grecia. Proviamo a fare chiarezza.

Partiamo dai precedenti. La conferenza di Sarajevo segue quella di Zagabria, nel 2000, e di Salonicco, nel 2003. Quest’ultima fu fondamentale poiché si stabilirono i “partenariati europei” necessari per pianificare le riforme necessarie all’adesione alla Ue.  Nel marzo scorso è invece andato in scena il vertice Ue-Balcani, la location è stata quella di Brdo in Slovenia.  Il vertice è falllito anche a causa della questione inerente al Kosovo: il ministro degli esteri serbo, Vuk Yeremic, si è infatti rifiutato di sedere allo stesso tavolo con l’omologo kosovaro poiché questo avrebbe significato riconoscere de facto l’indipendenza del Kosovo. Ed eccoci alla prima questione.

1) – L’indipendenza del Kosovo, avvenuta nel 2008, è stata nel frattempo riconosciuta da Slovenia, Croazia, Montenegro, Macedonia e Albania. Il riconoscimento non è venuto invece da 5 dei 27 membri dell’Ue, tra cui la Spagna, attuale presidente di turno dell’Unione. Belgrado ha fatto presente che ancora considera  il Kosovo una sua provincia secessionista: “L’integrità territoriale e i confini della nazione sono sanciti dalla Costituzione, non possiamo andare contro la nostra Costituzione. Ogni Paese europeo farebbe lo stesso” ha affermato Yeremic che però ha detto: “La Serbia è disposta a discutere sullo status del Kosovo”. Tradotto significa che l’indipendenza no, la piena sovranità nemmeno, ma una formula giuridica che rispetti la Serbia e al contempo sancisca l’autonomia (che, si badi, non è indipendenza) del Kosovo si può fare. Anche la Belgrado del Presidente Tadic si rende conto dell’irreversibilità dell’indipendenza di Pristina.

2) – Tadic, democratico ed europeista,  è stato protagonista di un gesto fondamentale per la distensione nei Balcani, facendo riconoscere dal Parlamento un documento nel quale si riconosceva la responsabilità serba nel massacro di Srebrenica. Anche Josipovic, premier croato, ha reso omaggio alle vittime musulmane del nazionalismo croato durante le guerre balcaniche. La delicata questione della Bosnia Erzegovina è complicata dal rischio di secessione della Repubblica Srpska -parte serba della Bosnia, che ha come capoluogo Banja Luka- in aperto contrarsto con la maggioranza musulmana.

3) – Verso una soluzione è la crisi del Golfo di Pirano, che da circa un decennio oppone Slovenia e Croazia. Lubiana, non riconoscendo la legittimità dei confini marittimi croati, chiede che le proprie acque territoriali siano collegate a quelle internazionali. Il rifiuto di Zagabria ha portato la Slovenia a porre il veto all’ingresso Ue della Croazia. Ora con Josipovic le posizioni di Zagabria si sono fatte accomodanti: un’accordo di arbitrariato potrà risolvere la questione. Tale accordo, però, in Slovenia è sottoposto a referendum. Un referendum che potrebbe tradursi in dichiarazione di fiducia (o sfiducia) verso la politica del Presidente Pahor, in vertiginoso calo di consensi. Pahor ha così l’arduo compito di spiegare ai cittadini che la soluzione della crisi di Pirano non deve essere assimilata alla sua attività di governo.

4) – Altra questione è la disputa sul nome tra Macedonia e Grecia. Atene sbarra la strada all’adesione Ue di Skopjie poiché non riconosce all’ex repubblica jugoslava il nome di “Repubblica di Macedonia”. Atene teme da parte di Skopjie inverosimili pretese sulla regione greca della Macedonia. La mediazione della Spagna, presidente di turno dell’Unione, sarà fondamentale.

In conclusione la conferenza di Sarajevo avrà l’arduo compito di risolvere queste tensioni. E non sarà facile. Solo per far sedere allo stesso tavolo tutti i Paesi dell’area si è dovuti ricorrere alla cosiddetta “formula Gymnich“, ovvero il protocollo usato per le riunioni informali dei ministri degli Esteri dell’Ue. I partecipanti si siederanno intorno al tavolo identificati soltanto dal loro nome, senza alcun riferimento al loro Paese d’origine. In questo modo si dovrebbe riuscire a superare lo scoglio del Kosovo, evitando di replicare il fallimento di Brdo. Russia e Stati Uniti veglieranno sulla conferenza, e sui propri interessi nella regione. La Turchia, che molto sta investendo nei Balcani Occidentali, ha da dimostrare la sua “buona volontà” ad aderire nell’Unione. All’Italia, tramite al Ministro degli Esteri Frattini, va il merito di aver messo tutti attorno allo stesso tavolo. L’Unione Europea, invece, si troverà di fronte a un bivio: favorire l’integrazione europea dei Balcani o congelarla -come vorrebbe Berlino- viste le già gravi difficoltà economiche dell’Unione? Anche per Bruxelles sarà una significativa prova politica.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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