Ieri sera a Mostar, non lontano dal Ministero degli Interni del cantone, è stato ucciso in una sparatoria Marko “Maka” Radić, criminale di guerra croato-bosniaco. Era a piede libero da due anni, nonostante una condanna a 21 anni che avrebbe dovuto tenerlo dietro le sbarre almeno fino al 2027.
Come ti rilascio un criminale di guerra
Nel 2011 Marko Radić era stato condannato a 21 anni di prigione dalla Corte statale bosniaca per crimini contro l’umanità, tra cui tortura, reclusione, omicidio e stupro compiuti nel famigerato campo di prigionia di Vojno presso Mostar.
Tuttavia nell’ottobre 2018 il Ministro della giustizia bosniaco, il croato Josip Grubeša (HDZ), ne aveva approvato il trasferimento in Croazia, paese di cui Radić aveva una seconda cittadinanza. La Corte di Zagabria decise di riconoscere la sentenza della Corte statale bosniaca e allo stesso tempo di ridurre la pena per Radić a 12 anni e mezzo.
Le corti croate si rifiutano infatti di riconoscere la qualifica di “impresa criminale congiunta”, utilizzata dalle corti bosniache sulla base della giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) contro i membri del Consiglio di Difesa Croato (HVO), la milizia dei croato-bosniaci durante la guerra.
Considerando anche il tempo passato in custodia cautelare durante le indagini a partire dal giugno 2006, Radić venne rilasciato a dicembre 2018, nonostante le proteste del procuratore-capo del tribunale dell’Aja, Serge Brammertz. La vicenda aveva portato a varie critiche contro l’inamovibile ministro Grubeša, incluso da parte del suo vice, il bosgnacco Nezir Pivić (SDA). Lo stesso ex presidente croato Ivo Josipovic aveva commentato che la decisione della corte non rifletteva la gravità dei crimini commessi da Radić. Ieri sera, quando ha incontrato il suo assassino, il 61enne criminale di guerra Marko Radić era a passeggio nel centro di Mostar.
Il presunto assassino
Secondo le fonti locali l’assassino sarebbe Josip “Cviki” Cvitanović, già membro della polizia speciale della Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosna, lo staterello fantoccio dei croato-bosniaci nel 1992-1994. Un regolamento di conti tra due ex membri delle organizzazioni belliche dei croato-bosniaci.
Cvitanović è stato arrestato la sera stessa a Mostar, senza opporre resistenza. Aveva già ucciso una ragazza nel 2004, e tentato di uccidere anche sua moglie e sua sorella; la sua condanna era stata ridotta nel 2012 dall’indulto da parte dell’allora presidente dell’entità della Federazione di Bosnia-Erzegovina, il croato Živko Budimir.
Il campo di Vojno e i crimini di guerra dell’HVO
Il campo di prigionia di Vojno, in cui Marko Radić aveva parola sulla vita e sulla morte dei prigionieri di guerra bosgnacchi, è stato uno dei luogo più atroci del sistema bellico dell’Erzeg-Bosna.
Secondo le testimonianze delle vittime, oltre 800 persone sono passate da Vojno, tra cui circa 80 donne e bambini – la più anziana di 85 anni e il più piccolo di 8 mesi. Le vittime sono state tra 15 e 30. Tra di loro, varie persone trasferite dal campo di prigionia dell’Heliodrom, sempre a Mostar. Gli uomini erano messi ai lavori forzati in condizioni disumane, mentre le donne erano oggetto di violenze sessuali sistematiche. Secondo una testimone, nella stanza in cui è rimasta per 109 giorni, 15 minori e 21 donne sono state detenute e portate via per stupro ogni giorno.
Radić, come comandante del primo battaglione “Bijelo Polje” della seconda brigata del Consiglio di Difesa Croato, partecipò alla creazione del campo di prigionia e ordinò l’arresto e la detenzione illegale di diverse dozzine di civili bosniaci, tra cui donne, bambini e anziani. La sentenza lo riconobbe inoltre come responsabile della detenzione illegale di civili bosgnacchi presso il campo dell’Heliodrom.
Secondo Saja Ćorić, sopravvissuta del campo e testimone al processo contro Radić, “i crimini nel campo di Vojno sono stati così mostruosi che le persone venivano sepolte vive e dozzine di donne hanno subito abusi sessuali”.
Per tali crimini di di persecuzione, omicidio, reclusione, stupro, e tortura, nel 2011 la Corte statale bosniaca aveva condannato a 21 anni Marko Radić, a 16 anni Dragan Šunjić, a 12 anni Mirko Vračević e 20 anni Damir Emir Brekalo, per un totale di 69 anni. Il direttore del campo di prigionia, Mario Mihalj, era già morto al momento della sentenza.
Foto: Corte statale di Bosnia Erzegovina