Nel mese di ottobre si sono verificati due eventi particolarmente significativi per la politica estera ucraina. Uno di questi è stato il 22º vertice Ucraina-UE tenutosi a Bruxelles (il primo incontro bilaterale a svolgersi in presenza dallo scoppio della pandemia), durante il quale ambo le parti hanno rinnovato il proprio impegno ad approfondire vicendevolmente l’associazione politica e l’integrazione economica. L’altro, invece, è stato rappresentato dall’incontro di Londra tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il primo ministro britannico Boris Johnson, conclusosi con la firma dell’accordo sulla cooperazione politica, il libero scambio, nonché il partenariato strategico tra i due paesi.
I principali temi trattati durante i due incontri sono stati l’emergenza sanitaria, il programma di riforme, la politica estera e di sicurezza. Nel corso delle riunioni i leader hanno riconosciuto la solidarietà, la cooperazione e il multilateralismo efficace quali strumenti necessari per la ripresa economica. A Bruxelles sono stati accolti con favore anche i traguardi raggiunti nell’attuazione dell’accordo di associazione e della zona di libero scambio globale e approfondita (DCFTA): da inizio 2016 il commercio bilaterale è cresciuto del 65%.
L’UE ha inoltre ribadito il suo sostegno all’indipendenza, alla sovranità e all’integrità dell’Ucraina, condannando l’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli da parte di Mosca, la militarizzazione della penisola e il grave deterioramento della situazione dei diritti umani nelle zone non controllate dal governo ucraino a est del paese.
Cauto ottimismo sul fronte europeo
L’ultimo trimestre dell’anno sembra essersi aperto in maniera soddisfacente per gli interessi politici di Kiev. Entrambi gli incontri hanno infatti avuto un riscontro molto positivo tra la classe dirigente ucraina, alla quale i risultati conseguiti appaiono come un segno di fiducia da parte dei leader occidentali a rivedere la politica europea di vicinato. Una tale possibilità, tuttavia, sarà condizionata dal modo in cui il paese attuerà le politiche concordate nell’ambito del programma di assistenza macro-finanziaria dell’Unione e del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Da questo dipenderanno non solo gli aiuti destinati ad attenuare l’impatto socioeconomico della pandemia, ma anche e soprattutto i futuri successi di Kiev in politica estera.
Bruxelles si aspetta che gli impegni presi si traducano in azioni concrete a livello domestico e che il governo ucraino possa ritrovare quello zelo per le riforme distintivo dei primissimi mesi della presidenza Zelensky, tratto che, con il passare del tempo, sembra essere andato scemando. A dimostrazione della propria ambizione, Kiev dovrà dare il meglio di sé nell’attuazione dell’accordo di associazione, specialmente nei settori rimasti più indietro: trasporti, finanza, tutela dei consumatori, questioni doganali, mercato digitale e proprietà intellettuale.
Convincere l’Unione ad approfondire la politica europea di vicinato non sarà una sfida facile. Il suo successo dipenderà dall’esito di una prova decisiva, giocata da un altro settore chiave, la cui cattiva gestione pare aver provocato una crisi di sfiducia verso la dirigenza ucraina da parte dei rappresentanti delle élite europee.
A rischio il regime “visa free” e gli aiuti UE
Indice di questa crisi è una lettera firmata da tre eurodeputati – la vicepresidente della delegazione del parlamento europeo (PE), Viola von Cramon, il relatore del PE sull’Ucraina, Michael Gahler, e l’europarlamentare lituana Rasa Juknevičienė – e diretta a David Arakhamia, presidente del partito politico fondato da Zelensky Sluha Narodu (Servo del Popolo). In essa, viene rimarcata la pressione sugli organismi anticorruzione ucraini e la possibilità da parte dell’UE di introdurre sanzioni, compresa l’abolizione del regime di esenzione dai visti, per alcuni politici e oligarchi ucraini.
Per limitare le ricadute economiche della pandemia, lo scorso luglio la Commissione aveva concluso con Kiev un accordo di assistenza macro-finanziaria da 1,2 miliardi di euro. In cambio, il paese si era promesso di garantire l’indipendenza, l’efficacia e la sostenibilità del quadro istituzionale anticorruzione al fine di evitare la politicizzazione delle proprie forze dell’ordine. Nello specifico, gli impegni presi miravano ad affrontare le persistenti preoccupazioni legate all’integrità della SAPO – l’ufficio della procura specializzata anticorruzione – garantendo una procedura di selezione del personale integra e credibile. Nel protocollo d’intesa sottoscritto tra le due parti si sottolineava la cruciale necessità di un funzionamento dipendente ed efficace delle istituzioni anticorruzione, anche mediate lo svolgimento di concorsi basati sul merito.
Questioni da risolvere
Con questa lettera, i tre firmatari vogliono far presente ad Arakhamia che questo impegno non sta venendo rispettato. Le riforme tanto promesse stanno di fatto retrocedendo e il nuovo capo della SAPO, in seguito al licenziamento dell’ex dirigente Nazar Cholodnytskiy da parte del procuratore generale, dovrebbe essere nominato da una commissione priva di una significativa esperienza e reputazione nella lotta alla corruzione. Gravando su un sistema pubblico oberato dal peso di un’illegalità dilagante, tutto ciò – sottolinea la von Cramon – rischia di mettere in pericolo il regime “visa-free”, così come i finanziamenti accordati
Per scongiurare una tale ipotesi, il governo ucraino dovrà farsi trovare pronto ad ammettere le proprie responsabilità in materia di corruzione e garantire una maggiore rettitudine nella gestione dell’ordinamento giuridico nazionale. A riguardo, Zelensky ha affermato di sostenere pienamente il processo di selezione trasparente del nuovo capo della SAPO ed è convinto che, se farà i compiti a casa, ciò convincerà Bruxelles a rivedere il processo di integrazione.
Foto: European Parliament