di Martina Urbinati e Leonardo Scanavino
Domenica 25 ottobre le strade della capitale bielorussa si sono colorate per l’ennesima volta di bianco e rosso, con decine di migliaia di cittadini che sono tornati a protestare per il dodicesimo fine settimana consecutivo contro il regime di Aleksander Lukashenko. Le proteste hanno origine nel malcontento popolare che si era già manifestato durante i primi mesi del 2020 e che è definitivamente esploso dopo le elezioni presidenziali dello scorso 9 agosto, il cui risultato non è stato riconosciuto dalle opposizioni.
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Le proteste di domenica
La repressione delle manifestazioni dello scorso fine settimana, come sempre pacifiche, è stata connotata da un altissimo livello di violenza. Già lo scorso 12 ottobre qualcosa era cambiato nell’atteggiamento della polizia, autorizzata a utilizzare armi direttamente sulla folla. In quella data il ministro dell’interno ha confermato che durante le proteste del fine settimana precedente erano stati usati gas lacrimogeni e granate stordenti e ha affermato che da quel momento in poi il loro utilizzo sarebbe divenuto sistematico al fine di disperdere i manifestanti.
Non è ancora chiaro quante siano state le persone ferite, ma sarebbero oltre 500 quelle arrestate in tutto il paese (160 nella sola Minsk), secondo quanto riportato da Viasna, ONG attiva nel paese da oltre 20 anni. Queste ultime vanno ad aggiungersi alle oltre 12.000 persone che sono state arrestate a partire dall’inizio delle proteste, che sono state vittime di violenze sistematiche e nei confronti delle quali sono state comminate pene detentive sommarie. Tra loro vi è il poeta Dmitrij Strocev, arrestato il 21 ottobre per aver partecipato alle proteste di domenica 4: in favore della sua liberazione è stata lanciata in questi giorni una petizione.
Nella giornata di domenica, la leader dell’opposizione in esilio Svetlana Tichanovskaja ha lanciato un ultimatum nei confronti di Lukashenko, affermando che qualora le sue dimissoni non fossero pervenute entro la mezzanotte, sarebbe stato proclamato sciopero nazionale.
L’ultimatum
Le dimissioni di Lukashenko, che sembra continuare a vivere in una sua realtà parallela, non sono arrivate: è stato così che lunedì 26 ottobre è iniziato lo sciopero nazionale preannunciato dall’opposizione. La chiamata è stata accolta da diversi gruppi sociali, tra cui spiccano operai delle fabbriche statali e studenti universitari. In un commento, il ministro dell’Istruzione Igor Karpenko ha definito gli atti di solidarietà di questi ultimi “un sabotaggio del sistema educativo nazionale”.
Intanto, la scorsa settimana l’opposizione bielorussa è stata insignita dal parlamento europeo del Premio Sakharov per la libertà di pensiero. Dopo le sanzioni UE verso il regime e le manifestazioni di solidarietà espresse dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal presidente francese Emmanuel Macron, la resilienza e la determinazione del popolo bielorusso sono stati ancora una volta riconosciuti dalle massime autorità europee.
Con l’economia nazionale in ginocchio e una pessima gestione della pandemia, Lukashenko si aggrappa al potere con una legittimità sempre più compromessa, trascinando con sé il paese in una crisi politica senza precedenti.
Immagine: cnbc.com