Il 3 novembre si svolgeranno le elezioni per eleggere il prossimo presidente degli Stati Uniti. Durante le guerre che negli anni novanta portarono alla violenta disgregazione della Jugoslavia, gli USA giocarono un ruolo centrale. Lo ricordano bene i cittadini e le autorità kosovare che, come forma di riconoscimento per l’intervento NATO che pose fine alla guerra del Kosovo nel 1999, dedicarono all’allora presidente Bill Clinton una strada e una statua alta tre metri nella capitale Pristina.
Negli anni successivi gli Usa hanno via via ridotto il loro impegno nella regione, grazie anche ad una sempre maggior presenza dell’Unione europea. Negli ultimi mesi, però, l’amministrazione di Donald Trump ha tentato di riattivare un interesse per l’area che sembrava ormai sopito. Dopo la firma a Washington dell’accordo sulla normalizzazione delle relazioni economiche tra Belgrado e Pristina dello scorso 4 settembre, in Kosovo in molti, sia albanesi che serbi, hanno sostenuto la possibilità di intitolare il lago Ujman/Gazivoda, al centro di una disputa per la sua gestione, proprio al presidente statunitense.
Presentate ogni volta come le “più importanti della storia”, le elezioni americane avranno ripercussioni importanti anche nei Balcani.
La visione di Trump…
A differenza di Barack Obama, che aveva depotenziato il protagonismo USA nell’area, Trump ha dimostrato di voler ottenere un significativo risultato diplomatico nei Balcani. Il suo impegno è stato inaugurato lo scorso anno con la nomina di Richard Grenell a inviato speciale per il dialogo tra Kosovo e Serbia. In questi dodici mesi Grenell non ha mancato di sfruttare il suo ruolo per incidere in maniera considerevole sulle questioni interne kosovare. Significative le pressioni esercitate nella caduta del governo di Albin Kurti lo scorso marzo, in piena crisi pandemica. Fortemente contrario all’imposizione dei dazi verso le merci serbe attuata dal Kosovo a partire dal novembre 2018, Grenell è stato il fautore dell’accordo di Washington del 4 settembre. L’intesa era stata presentata dal presidente Trump come un “accordo storico” in grado di portare pace dopo “decenni di guerra”.
Al di là della propaganda elettorale e delle dichiarazioni destinate al circo mediatico, l’amministrazione Trump non sembra avere un piano complessivo per la regione. Il sostegno acritico allo status quo creato in Bosnia-Erzegovina dagli accordi di Dayton del 1995 e l’impegno pressoché nullo sulle vicende degli altri paesi balcanici ne sono l’esempio lampante.
… e quella di Biden
Piuttosto diverso invece l’approccio mostrato dal candidato democratico Joe Biden. Così come il suo avversario, sposato con la slovena Melania Trump, anche Biden può contare su un particolare legame affettivo con i Balcani. Il figlio, Joseph Beau Biden, ha lavorato come esperto dell’OSCE in Kosovo a partire dal 2001. Dopo la sua morte, avvenuta nel 2015 a soli 46 anni, gli è stata dedicata la strada che collega Gjilan/Gnjilane e Ferizaj/Uroševac nel sud del paese.
Sul piano politico, Biden ha più volte rivendicato un ruolo da protagonista nelle vicende degli anni novanta presentandosi come colui che spinse il Congresso a intervenire contro Slobodan Milošević per fermare il massacro durante la guerra in Bosnia. In un suo libro di memorie pubblicato nel 2007, Biden scrive addirittura di aver dato personalmente del “maledetto criminale di guerra” a Milošević durante una riunione nel 1993.
A differenza di Trump, Biden sembra più propenso ad agire di concerto con i partner europei, cosciente che solo il successo del processo di integrazione europea potrà definitivamente allontanare i Balcani dalle sirene russe e cinesi. Posizione confermata anche in una lettera pubblicata in questi giorni dal titolo “La visione di Joe Biden per le relazioni dell’America con la Bosnia-Erzegovina”. Nel documento il candidato democratico si presenta come un “comprovato amico” che sostiene l’integrazione euro-atlantica del paese. L’unico punto significativo del documento, fuor di retorica, riguarda il sostegno all’integrità territoriale della Bosnia e al suo carattere multi-etnico.
Che la regione sia al centro dell’interesse del candidato democratico è dimostrato anche da un’altra lettera, indirizzata alla diaspora albanese negli USA. Anche in questo caso Biden si presenta come un “amico di lunga data dell’Albania e del Kosovo” rivendicando l’introduzione della risoluzione che autorizzava nel 1999 il presidente Clinton ad intervenire contro Milošević e la strenua difesa dell’indipendenza del Kosovo. Tra gli impegni futuri quello di una stretta collaborazione con gli alleati europei per rilanciare il dialogo con la Serbia, l’ampliamento delle relazioni economiche sia con il Kosovo che con l’Albania e il pieno sostegno al processo di integrazione europea.
Le posizioni nella regione
Con l’avvicinarsi delle elezioni sempre più leader regionali hanno espresso il loro sostegno per uno dei due candidati. In prima linea in favore del presidente uscente vi è il rappresentante serbo della presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina, Milorad Dodik. Nonostante le sue posizioni contro la NATO, già a gennaio di quest’anno Dodik aveva esortato i cittadini serbi con diritto di voto negli USA a votare per Trump. Dal punto di vista di Dodik, infatti, il non interventismo americano nelle vicende bosniache rappresenta un tacito sostegno alle sue mire indipendentiste. Una convinzione che in questi anni di presidenza è stata in realtà più volte disattesa.
In parte simile la posizione del presidente serbo Aleksandar Vučić per cui l’interesse mostrato dall’amministrazione Trump per gli aspetti economici nel dialogo con il Kosovo rappresenta una garanzia di non interferenza sul piano prettamente politico. Un’idea sostenuta anche dal ministro degli Esteri Ivica Dačić. L’elezione di Trump nel 2016 venne accolta con grande gioia soprattutto tra i nazionalisti serbi, compresi quelli del Kosovo dove apparvero persino manifesti celebrativi in suo onore.
Il sostegno al presidente uscente rappresenta forse l’unico punto di incontro tra i leader serbi e quelli kosovari, o almeno una parte di questi. L’attuale presidente del Kosovo Hashim Thaçi, dopo la firma dell’accordo di Washington, si è addirittura spinto a conferire a Trump la Medaglia dell’Ordine della Libertà del Kosovo, la più alta onorificenza riconosciuta nel paese.
A favore di Trump si è espresso anche il primo ministro sloveno Janez Janša che ha detto di “rispettare la tragica vita personale di Biden” ma che quest’ultimo sarebbe il “più debole presidente della storia mentre il mondo ha disperato bisogno di Stati Uniti forti come mai prima”.
L’unica voce forte a sostegno di Biden è arrivata, per il momento, dall’ex primo ministro kosovaro e leader del partito Vetevendosje, Albin Kurti. Vittima dei giochi di potere messi in atto da Grenell, Kurti ha rilasciato un video in cui sostiene che un voto per Biden rappresenta un voto per valori comuni come la giustizia, la libertà e l’autodeterminazione. Chi non nutre particolare simpatia per Trump è anche il premier albanese Edi Rama che nel 2016 aveva parlato di lui come di una “vergogna della nostra civiltà”. Poche settimane fa, il presidente uscente ha però scritto una lettera al leader albanese ringraziandolo per il suo impegno contro “l’influenza maligna” esercitata dalla Cina attraverso la tecnologia 5G.
Mai, da vent’anni a questa parte, le elezioni americane avevano avuto un peso così rilevante per gli equilibri regionali. Se al futuro presidente spetterà una statua come già accaduto a Clinton dipenderà dalla capacità di contribuire a trovare una soluzione agli atavici problemi della regione.
Foto: BBC