NAGORNO-KARABAKH: Un nuovo cessate il fuoco, un altro buco nell’acqua

Sabato (17 ottobre) nel pomeriggio si è accesa una speranza: i media locali annunciavano che, a sette giorni dalla precedente tregua mai rispettata, Armenia e Azerbaigian avevano concordato un nuovo cessate il fuoco umanitario, a decorrere dalla mezzanotte. Il copione della settimana precedente si è, però, ripetuto e nella mattina di domenica, Sushan Stepanyan, segretario stampa del ministero della Difesa armeno, annunciava che, nella notte, l’Azerbaigian aveva violato il cessate il fuoco, bombardando nella zona sud e nord del Nagorno-Karabakh tra mezzanotte e le due e quaratacinque. Il presiente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, dal canto suo, ha ieri reso nota la propria versione dei fatti dal suo profilo Twitter, ribattendo che sarebbero state le forze armene ad ignorare la tregua, a mezzanotte e due minuti.

Dovunque stia la verità in questo scambio di accuse che si gioca sui minuti, ciò che ha importanza è che siamo al ventitreesimo giorno di scontri e la situazione umanitaria si fa sempre più grave.

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Situazione umanitaria

Un video che circola online mostra l’esecuzione di due prigionieri di guerra, che, avvolti nella bandiera della repubblica de facto del Nagorno-Karabakh, vengono colpiti a morte da soldati dell’esercito azero. L’ufficio di procura armeno ha escluso che fossero militari identificando gli uomini in due civili, di settantatré e venticinque anni, originari di Habruz, la cittadina dove la scena è stata girata, che è stata teatro di scontri nei giorni scorsi. Le autorità azere hanno negato la veridicità del video e hanno avviato un’indagine interna per verificare eventuali crimini di guerra.

Questo purtroppo è solo uno dei tanti episodi che testimoniano come il conflitto si stia facendo sempre più crudo e colpisca soprattutto la popolazione civile.

Secondo l’ufficio per i diritti umani del Nagorno-Karabakh, anche il 10 ottobre quattro civili, tra cui un uomo disabile e la madre anziana, erano stati uccisi dalle forze armate azere. Domenica pomeriggio, il dato sulle morti tra le fila dell’esercito armeno era salito a 673.

Anche dall’altra parte del fronte la situazione è sempre più drammatica. Domenica le forze armene hanno bombardato il distretto di Aghdam e l’11 ottobre, in una delle giornate più drammatiche del conflitto, in un solo bombardamento a Ganja, seconda città dell’Azerbaigian, sono morti almeno 10 civili e ne sono rimasti feriti 35.

Amnesty International il 5 ottobre ha confermato che tanto l’esercito armeno quanto quello azero hanno utilizzato bombe a grappolo, dei particolari ordigni che, una volta sganciati, liberano nello spazio circostante piccole bombe che possono esplodere anche dopo anni, continuando ad uccidere civili.

La gravità della situazione umanitaria viene enfatizzata nella narrativa di entrambi i belligeranti, ma sempre solo rispetto alle proprie vittime. Sui social network utilizzando hashtag come #stoparmenianaggression, migliaia di utenti azeri diffondono immagini di bambini morti e parenti in lacrime, denunciando il trattamento inumano del nemico. Di queste pagine vi è anche un equivalente armeno, #stopazerbaijaniaggression, dove a grafiche che mirano a diffondere una narrativa analoga si affiancano messaggi di solidarietà provenienti dalla diaspora armena all’estero.

Cosa prevedeva il cessate il fuoco

La seconda tregua è stata raggiunta anche a causa delle crescenti pressioni del Gruppo di Minsk dell’OSCE – l’ente internazionale preposto a risolvere la questione del Nagorno-Karabakh – ed è stata concordata in una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. Il cessate il fuoco di sabato, comunque, nella sostanza, era molto simile al precedente e  doveva essere semplicemente una tregua umanitaria che consentisse lo scambio dei morti  e dei prigionieri. Nulla di nuovo, dunque, su eventuali scambi o compromessi territoriali, anche se ieri il premier armeno Nikhol Pashinyan ha espresso la volontà di interrompere i combattimenti e raggiungere un compromesso e Aliyev sembra aver accolto l’invito, almeno a parole. Nel frattempo, Lavrov ha sottolineato l’importanza dell’adozione di un meccanismo che permetta di monitorare il rispetto del cessate il fuoco. Ieri sera si è riunito il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e durante l’incontro, che si è tenuto a porte chiuse, i rappresentanti dei quindici paesi membri hanno convenuto sull’urgenza di rispettare il cessate il fuoco. Significative le parole che un diplomatico delle Nazioni Unite ha rilasciato all’agenzia di stampa francese AFP  “Tutti stavano dicendo la stessa cosa: la situazione è pessima, entrambe le parti devono tirarsi indietro e dare ascolto alla richiesta del Segretario Generale di cessare i combattimenti”.

Le operazioni militari

Sino ad ora, pare che l’Azerbaigian sia riuscito a conseguire discreti successi in ambito militare: numerosi villaggi sono tornati sotto il controllo di Baku e due giorni fa l’esercito azero ha recuperato il controllo dello storico ponte Khoda Afarin, al confine con l’Iran. È ragionevole aspettarsi che, una volta che un vero e proprio cessate il fuoco entrerà in vigore, la linea di contatto tra i due paesi sarà considerevolmente spostata.

Tuttavia, l’Azerbaigian non ha solo la questione territoriale di cui preoccuparsi, ma anche la sicurezza di gasdotti e oleodotti. È infatti proprio grazie all’esportazione di petrolio e gas che il Paese è divenuto molto più ricco del vicino armeno ed ha guadagnato il supporto di numerosi attori internazionali, non ultimo Isreaele, che sta ora vendendo armi a Baku.

Già alcuni giorni fa Aliyev aveva accusato Erevan di aver tentato di colpire le infrastrutture energetiche e aveva avvertito che, qualora queste fossero prese di mira, “le conseguenze sarebbero severe”. Ebbene, ieri le autorità azere hanno annunciato che un razzo armeno è stato abbattuto nelle vicinanze dell’oleodotto Baku-Novorossiysk.

L’atteggiamento cauto della Russia 

In questo contesto, viene spontaneo chiedersi se la Russia stia effettivamente intervenendo per supportare il paese alleato, poiché l’impressione è che Mosca si stia mantenendo molto cauta. In realtà il Cremlino potrebbe aver deciso di permettere all’Azerbaigian di recuperare alcuni dei territori che non controlla. Gli equilibri di potere, infatti, negli anni si sono spostati notevolmente a favore dell’Azerbagian, che è divenuto di anno in anno sempre più strategico; mentre l’Armenia di Pashinyan non ha sino ad ora mostrato alcuna flessibilità né apertura a un compromesso. Come se non bastasse, Erevan dipende completamente da Mosca, ragione per cui Putin non deve preoccuparsi per la perdita di un alleato storico: in ogni caso, la piccola e isolata Armenia non saprebbe a chi altro rivolgersi.

Immagine: Baltics News

Chi è Eugenia Fabbri

Nata e cresciuta a Bologna, si è laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Bologna e frequenta ora il primo anno del corso di laurea magistrale MIREES (Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe), presso la stessa università. Ha vissuto per sei mesi in Georgia, dove ha frequentato alcuni corsi dell'Università Statale di Tbilisi, appassionandosi alle dinamiche politiche del Caucaso Meridionale.

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