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KOSOVO: Dall’assenza della Cina all’impegno del Giappone

Durante la primavera e l’estate appena trascorse il Kosovo è stato un attore geopolitico inaspettatamente importante. Prima la mozione di sfiducia al governo di Albin Kurti, causata da forti pressione provenienti da Washington. Successivamente la richiesta di rinvio a giudizio per crimini di guerra e crimini contro l’umanità per il presidente della Repubblica Hashim Thaci. Azione che lo ha messo fuori scena dai negoziati. Infine la firma dell’accordo tra Serbia e Kosovo, tenutosi alla Casa Bianca. Questo ultimo evento ha significato una vittoria soltanto per Donald Trump. Il presidente statunitense è riuscito a raggiungere i propri obiettivi, sia per quanto riguarda il Medio Oriente che per il duello contro la Cina.

L’assenza cinese in Kosovo

Il Kosovo è l’unico paese dei Balcani dove la Cina non ha investito. Di conseguenza la sua influenza è praticamente nulla. La Repubblica Popolare non riconosce l’indipendenza di Pristina, per diverse motivazioni. In primis le questioni interne, come le richieste autonomiste da parte del Tibet e della minoranza musulmana nella regione dello Xinjiang, che fanno propendere Pechino verso posizioni a difesa dell’integrità territoriale.
Poi c’è la volontà di Pechino di fare asse con
la Russia in ambito di Consiglio di Sicurezza ONU e di mantenere intatti gli ottimi rapporti con la Serbia.
Ultimo, ma non meno importante, un fatto storico: il bombardamento dell’
ambasciata cinese a Belgrado durante l’intervento della Nato. Il 7 maggio 1999 una bomba statunitense colpì l’edificio, uccidendo tre operatori dei media cinesi. L’incidente,  definito un “errore”, causò una frattura nelle relazioni sino-americane. 

Il mancato riconoscimento da parte di Pechino conta molto, e non solo per il potere di veto che la Cina ha in sede ONU. Il Kosovo non è un membro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e durante la pandemia è stato l’unico paese al quale la Cina non ha inviato alcun aiuto. Il vuoto cinese nel Kosovo contrasta l’immenso impegno della Repubblica Popolare nella regione. Serbia e Montenegro sono i due principali esempi. Podgorica ha richiesto un prestito di 809 milioni di euro dalla China’s Export-Import Bank per la costruzione dell’autostrada che dovrebbe partire dal porto di Bar e arrivare fino alla località di Boljare, sul confine serbo. Per Belgrado, la Cina rappresenta un ottimo partner sia in termini di politica interna che estera. Da una parte  per i massicci investimenti sul territorio, dall’altra per quanto riguarda proprio la questione del Kosovo. La sempre maggiore presenza cinese in Africa, secondo alcune fonti, favorirebbe il progetto di Belgrado di convincere alcuni paesi dell’area al ritiro del riconoscimento dell’indipendenza di Pristina. Negli ultimi anni sono stati paesi come Burundi, Madagascar, Togo, Ghana, la Repubblica Centrafricana e la Sierra Leone a ritirare il proprio riconoscimento, a seguito di probabili pressioni economiche. 

L’assenza d’interesse cinese per il Kosovo potrebbe avere sia un risvolto positivo che negativo. Da una parte permetterebbe di evitare una situazione complicata e potenzialmente pericolosa come quella del Montenegro, dall’altra però gli investimenti cinesi potrebbero significare una spinta importante per la fragile economia kosovara. Chi è sicuramente felice di non vedere alcun movimento di Pechino nel paese è Washington, che ha una forte influenza sulle decisioni che vengono prese a Pristina.

L’impegno giapponese

Un attore inaspettato in Kosovo è il Giappone. Alleato degli Stati Uniti, Tokyo è sempre più impegnato nel piccolo paese balcanico. Un interesse nato sin da subito, con l’immediato riconoscimento dell’indipendenza di Pristina nel 2008. Un processo continuato con l’impegno nel settore del turismo e con l’apertura dell’ambasciata nel gennaio di quest’anno.

“I turisti giapponesi amano il Kosovo e in particolare i nostri vini”, ha dichiarato Saranda Shala, della Wine Tourism Association Of Kosovo. Un’agenzia molto impegnata nel paese è la Japanese  International Cooperation Agency, con progetti come quello che riguarda il finanziamento di un nuovo sistema di monitoraggio della qualità dell’aria a Pristina. Inoltre, il 30 settembre, l’agenzia ha firmato un accordo con l’agenzia per la gestione delle emergenze del Kosovo per dare vita a un progetto che aiuti a prevenire le catastrofi naturali, attraverso un sistema nazionale d’informazione sugli incendi boschivi.

Oltre al turismo e all’ambiente, il governo giapponese è molto impegnato per ciò che concerne l’istruzione. A disposizione degli studenti kosovari viene messa a disposizione la possibilità di studiare in Giappone, con borse di studio e scambi culturali tramite la Japan Foundation, che conduce programmi nelle aree di educazione in lingua giapponese all’estero, studi giapponesi e scambi intellettuali. Questo forte interesse di Tokyo, direttamente proporzionale alla mancata volontà di Pechino d’investire nel paese, potrebbe essere un’ulteriore arma a disposizione di Washington.

Gli USA sono gli unici a sorridere

Per il Kosovo l’impegno giapponese sul territorio è decisamente un fattore positivo che può portare enormi vantaggi sia per la popolazione che per l’economia locale. Se l’assenza cinese sia un bene o un male, non sarà possibile dirlo finché non ci sarà la controprova. 

In questo dualismo tra i due giganti asiatici, fino ad oggi, l’unico attore ad aver portato a casa risultati concreti e positivi sono gli Stati Uniti. Pristina rappresenta un ottimo free spot cinese per gli Stati Uniti, da utilizzare nel suo scontro personale contro Pechino. Nell’accordo di settembre Trump è riuscito a mettere per iscritto che la tecnologia 5G venga proibita o smantellata sia in Kosovo che in Serbia. In questo senso, l’ulteriore impegno giapponese nel territorio fa soltanto comodo a Washington.

Forse proprio ora, dopo che gli Stati Uniti sono riusciti a imporre la propria volontà sul 5G utilizzando il piccolo paese balcanico come strumento, Pechino potrebbe iniziare a prestare più attenzione verso Pristina. 

Foto: Balkan Insight

Chi è Gezim Qadraku

Laurea triennale in Scienze Politiche Internazionali all'Università degli Studi di Milano. Frequenta un Master in International Economics and Public Policy all'Università di Trier. Nato nel 1992 a Prishtina, cresciuto a Milano, al momento risiede in Germania. Parla albanese, inglese e tedesco.

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