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REP. CECA: Nessun banchetto. Il paese di nuovo in stato d’emergenza

Avete presente quei corridori che, arrivati quasi al traguardo, alzano prematuramente le braccia al cielo a favore di foto ricordo ma, così facendo rallentano e si fanno soffiare la vittoria dall’avversario al fotofinish? O quei calciatori che, superato il portiere, si rilassano facendosi rubare la palla davanti alla porta vuota? Ecco, questo è il paragone che potremmo fare con la Repubblica Ceca, nuovamente in stato d’emergenza.

Il lockdown preventivo

Eppure non sempre essere precoci è una cosa negativa, come dimostrato chiaramente dagli ottimi risultati ottenuti con il lockdown precox deciso dalla Cechia a metà marzo. Torniamo un attimo indietro. Primavera 2020. La pandemia infuria nel mondo e l’Italia è in ginocchio, i paesi tentennano tra chi ancora sottovaluta la situazione e chi inizia a prendere provvedimenti, più o meno rigidi. Tra i secondi emerge la Repubblica Ceca che, il 12 marzo, pur avendo ancora pochissimi casi, dichiara tempestivamente lo stato di emergenza e chiude tutto: ristoranti, scuole e negozi. Serrande abbassate ovunque e tutti a casa per un paio di mesi (con l’importante eccezione di fabbriche e uffici). Chiuse anche le frontiere, non si entra e non si esce, salvo le eccezioni del caso.

Lo stupore generale e il disappunto sono forti ma a prevalere è la percezione che sia meglio giocare d’anticipo, tanto che il primo ministro Andrej Babiš raccoglie parole di apprezzamento addirittura dai suoi oppositori politici. E infatti il contagio rallenta e il paese si presenta come un’isola felice e serena in mezzo alla tempesta del Covid. Passa il tempo, le giornate si allungano e fuori splende il sole. I cechi iniziano a essere stanchi delle limitazioni, forti dell’impressione che, almeno a casa loro, la battaglia sia già vinta. Rimarranno proverbiali, allora, le immagini del grande banchetto lungo mezzo chilometro organizzato il 30 giugno sul Ponte Carlo di Praga per celebrare la fine della pandemia. Il premier ceco coglie la palla al balzo e va a caccia di consensi annullando precipitosamente le varie restrizioni. Riaprono scuole, negozi e i ristoranti; si torna a viaggiare e la mascherina sembra ormai solo un ricordo. Il tutto col malcelato compiacimento di chi ha finito i compiti per casa prima e meglio degli altri.

A cantar vittoria…

Happy ending? Non proprio. A inizio settembre, con la riapertura delle scuole e la ripresa delle attività, i casi tornano a salire, e in modo pericolosamente veloce. La prematuramente festeggiata fine della pandemia, infatti, non è all’orizzonte. Il picco di nuovi casi, 8.616, registrato il 9 ottobre (+59% rispetto al giorno precedente e una media di 31 test positivi su 100) e i 62.170 malati non presagiscono niente di buono, tanto che, con 521 casi su 100.000 abitanti in 14 giorni il paese si ritrova improvvisamente al primo posto per contagi in Europa, ovvero peggio di Belgio (429), Olanda (387), Francia e Spagna (300). Ma soprattutto ben 6,5 volte peggio di quell’Italia (80) che Babiš in primavera accusava di essere l’untore d’Europa perché „gli italiani non ce la fanno“ e alla quale chiedeva di vietare ai suoi cittadini di viaggiare, mentre invitava i cechi a non andare nel Belpaese.

Il ministro della Salute Adam Vojtěch preme allora per nuovi inasprimenti ma le elezioni amministrative di inizio ottobre sono alle porte e Babiš temporeggia. La situazione continua ad aggravarsi, Vojtěch si dimette e il premier nomina al suo posto il colonnello Roman Prymula, epidemiologo e già sottosegretario alla Sanità, personaggio che in primavera godeva di ampio credito tra i cechi. 

Le nuove misure

E così, per dare una frenata ai contagi, il 5 ottobre il governo dichiara nuovamente lo stato di emergenza e presenta le nuove misure fortemente restrittive. Scuole di tutti i gradi e livelli chiuse (tranne asili e materne); chiusi locali, bar e ristoranti (salvo asporto fino alle 20); chiusi zoo, palestre, cinema e teatri; vietati gli assembramenti, interni ed esterni, superiori a 6 persone. Tutto questo almeno fino ai primi di novembre o, come annunciato da Prymula, fino a quando l’indice R0, attualmente a 1,5, non sarà sceso almeno a 0,8.

Insomma, se non è un vero e proprio lockdown, poco ci manca. Negozi, uffici e aziende rimangono aperti nella speranza di trovare un equilibrio tra il contenimento del contagio e la necessità, sempre più impellente, di tornare alla normalità e non deprimere ulteriormente un’economia già provata. Il deficit pubblico, infatti, ha già superato i 9,3 mld. €, dieci volte più dell’anno scorso, e Babiš non esclude che, alla fine, il conto per le misure necessarie a sostenere l’economia possa essere ancora più salato. Giova ricordare che il paese è, o meglio era, un paese con un debito pubblico relativamente contenuto.

A proposito dello stato di emergenza: di limitazioni alla circolazione estera non si parla (almeno per ora), ma se per caso avete in programma di visitare la Repubblica Ceca preparatevi, al rientro, a fare il tampone, recentemente introdotto dal governo Conte.

 

Immagine: “Addio al coronavirus”/Praha

Chi è Andreas Pieralli

Pubblicista e traduttore freelance bilingue italo-ceco. Laureato in Scienze Politiche a Firenze, vive e lavora a Praga. Si interessa e scrive di politica, storia e società dell’Europa centrale. Coordina e dirige il progetto per un Giardino dei Giusti a Praga.

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