Il 16 ottobre 1962 scoppiava la crisi dei missili di Cuba, la quale, durata tredici giorni, contrassegnò uno dei momenti più critici e potenzialmente fatali dell’intera guerra fredda. Benché in stato di allerta fosse allora l’intero globo, c’era un luogo in Unione Sovietica che in quei giorni non conosceva pace: la base missilistica di Zeltiņi, nel nord-est dell’attuale Lettonia, non distante dai confini russi ed estoni.
Sorta all’interno di una fitta foresta baltica, a 25 km dal primo centro abitato (quello di Alūksne), la base rimase tecnicamente operativa fino al 1984, ma nella sua storia non servì mai nella pratica alla sua funzione – e per fortuna.
Le attuali repubbliche baltiche furono fortemente militarizzate dall’Unione Sovietica nel secondo dopoguerra, costituendone la sua nuova appendice; ma era a Zeltiņi che si concentravano i missili e le testate nucleari: con un raggio di 2000 km (alcune fonti riportano addirittura 3500 km), erano pronte a colpire gran parte dell’Europa, se ne fosse presentata la necessità.
Oggi, dopo anni di abbandono, la base di Zeltiņi si è trasformata in una meta turistica e l’amministrazione locale è all’opera per la realizzazione di audioguide interattive in più lingue. Tra i principali punti di interesse, una gigantesca testa marmorea di Lenin, originariamente appartenente a una statua del leader sovietico collocata nel centro di Alūksne.
Le foto, scattate dal fotografo Marco Carlone nell’estate del 2018, ripercorrono ciò che resta oggi di questa fondamentale base missilistica sovietica.