pubblichiamo stralci dell’articolo di Astrit Dakli, tratto dal blog del Manifesto “Est Est Est”, in appoggio all’approfondimento di Pietro Acquistapace per una giornata che vogliamo dedicare a questa tragedia circondata dal silenzio dei media internazionali. Altri approfondimenti sulle strategie energetiche e politiche in Asia centrale li trovate qui e qui
di Astrit Dakli
Col passar delle ore si prospetta sempre più drammatica la situazione nella provincia petrolifera del Kazakhstan, dove la repressione del regime contro gli operai in sciopero potrebbe aver causato 70 morti e centinaia di feriti nella città di Zhanaozen e dove arrivano voci di rivolte di massa in diverse città. Le comunicazioni telefoniche e via internet sono state bloccate dalle autorità, che hanno inoltre messo praticamente tutta la regione di Mangystau in stato d’assedio, con posti di blocco lungo le strade di accesso.
[…] Quel che è peggio, la repressione sta continuando con arresti in massa e anche con nuovi scontri e sparatorie. A prender parte alle azioni, che sembrano mirate a stroncare definitivamente una protesta operaia in atto da sette mesi, sono stati chiamati anche reparti d’assalto dell’esercito. Da parte loro gli operai, in gran parte appartenenti all’azienda petrolifera OzenMunaiGas, avrebbero risposto proclamando nuovi scioperi “a gatto selvaggio” che coinvolgono gran parte delle attività petrolifere nella regione e con azioni di sabotaggio – pare ad esempio che abbiano divelto le rotaie su interi tratti della ferrovia che serve per trasportare petrolio e macchinari. Nella capitale regionale Aktau sono stati segnalati scontri fra manifestanti e polizia, e anche ad Almaty, la città più importante del Kazakhstan, ci sono state manifestazioni di protesta per la sanguinosa repressione, le cui notizie cominciano a circolare in tutto il paese nonostante la censura dei principali media. […]
La lotta degli operai petroliferi è iniziata questa primavera, con ripetuti scioperi per ottenere migliori condizioni di lavoro e paghe più alte; la totale chiusura incontrata da parte delle aziende e in particolare le due più importanti semi-statali – KazMunaiGas e OzenMunaiGas – ha spinto i lavoratori ad azioni più clamorose, in particolare a stabilire un presidio permanente nella piazza principale di Zhanaozen (90.000 abitanti), dove ogni giorno gruppi di lavoratori erano presenti con striscioni e cartelli. Nel corso dei mesi le autorità e i dirigenti delle compagnie hanno tentato in vari modi di spezzare la resistenza degli operai, sia con licenziamenti in massa (più di tremila hanno perso il lavoro) sia con arresti sempre più numerosi (tra cui anche gli avvocati che difendevano la causa operaia) sia infine con attacchi diretti e provocazioni condotte da gruppi in abiti civili, che hanno portato all’uccisione di due scioperanti.
Questa lotta è stata circondata da un silenzio molto fitto, rotto solo da una tv privata locale, Kplus, e da qualche giornale russo, nell’indifferenza più totale dei media occidentali sempre sensibili alle proteste di qualche politico liberale a Mosca ma assai poco sensibili alle proteste di migliaia di lavoratori orientali – tantopiù che tra le aziende petrolifere della regione ce ne sono parecchie occidentali, in testa Eni, Chevron, ecc.
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