L’articolo fa parte della nuova rubrica di East Journal, curata da Arianna Marchetti, dedicata alla filosofia russa, dalle origini ai tempi moderni. Qui la puntata precedente.
Dalla seconda metà del diciottesimo secolo, grazie a intellettuali come Lomonosov, le idee dell’illuminismo continuarono a diffondersi in Russia. Anche se l’assolutismo e la schiavitù si consolidavano sempre di più, molti studiosi iniziavano a sostenere norme morali umanistiche secolari e la democratizzazione delle relazioni pubbliche, mentre la consapevolezza della miseria in cui versava la maggior parte della popolazione li spinse ad interrogarsi sulle misure necessarie per creare un’atmosfera di rispetto per l’individuo.
Una vasta gamma di studiosi, scrittori e statisti fu attratta dal movimento illuminista. Tra i più celebri: Semën Desnitskij (1740-89), Dmitrij Aničkov (1733-88) e Pafnutij Baturin (1740-1803). Quello che accomunava era il rifiuto della schiavitù, del dogmatismo religioso e dell’assolutismo monarchico al quale preferivano una monarchia costituzionale, nonché un approccio prettamente materialista e scientifico. Nonostante le loro idee fossero molto critiche nei confronti delle strutture sociali e legali del tempo, non vennero ostracizzate dalla classe dominante, governata dalla zarina illuminata Caterina la grande. Infatti l’imperatrice promosse gli ideali illuministi favorendo la divulgazione delle opere di Voltaire e Diderot e intrattenendo una relazione intellettuale con i due filosofi. Tuttavia, la Rivoluzione francese portò la zarina a temere l’effetto dell’illuminismo e ad adottare misure repressive verso gli intellettuali più radicali. Una delle vittime di questa repressione fu Aleksandr Radiščev (1749-1802), il quale fu esiliato in Siberia per le idee espresse nel suo Viaggio da San Pietroburgo a Mosca (1790).
In questo testo, Radiščev condanna le condizioni del popolo sotto Caterina II e invoca il principio di uguaglianza. Radiščev sostiene che la base di una società migliore risieda in forme alternative di governo, nella riforma amministrativa e in un servizio civile e giudiziario meno corrotti, interrogandosi inoltre su quali siano le condizioni in cui la popolazione abbia il diritto di ribellarsi al loro stato di subordinazione. Secondo Radiščev, l’esercizio del potere di una persona su un’altra non può essere giustificato se questo viola gravemente l’interesse della persona in questione. In questo caso il contratto sociale viene rotto e i soggetti sono moralmente autorizzati ad esercitare la loro libertà attraverso un’azione collettiva per proteggere il bene comune. Arriva dunque a sostenere che l’azione popolare potrebbe impedire la perpetrazione di azioni illecite e, a lungo termine, riallineare le norme di condotta con un concetto di ordine naturale che prevede il rispetto dell’umanità insita in ogni individuo.
Nel Viaggio da San Pietroburgo a Mosca emerge un’importante elaborazione della nozione di democrazia, intesa come potere popolare di insorgere contro l’ingiustizia commessa da un’élite o da uno stato contro i suoi subordinati. L’idea della democrazia di Radiščev è dunque molto diversa dalla concezione odierna. I servi diventano cittadini solo nel momento in cui la loro umanità non viene riconosciuta, senza beneficiare di nessun diritto di rappresentazione politica o di autodeterminazione.
Quello che il Viaggio da San Pietroburgo a Mosca ribadisce è il diritto a vivere senza la minaccia di lesioni personali, ma non implica che un individuo sia padrone della propria vita. La sua difesa dell’umanità non deve essere interpretata come una difesa del pari progresso degli interessi degli individui all’interno di una società pluralistica. La sua idea di uguaglianza non è relazionale: Radiščev, che non ha mai liberato i suoi servi, non sostenne mai l’uguaglianza nei diritti politici.
Anche se oggi queste idee non sembrano particolarmente rivoluzionarie, all’epoca erano estremamente progressiste e scatenarono una reazione furiosa di Caterina la Grande. Le copie del suo testo vennero distrutte e, oltre all’esilio, le idee di Radiščev gli costarono la salute mentale, che deteriorò inesorabilmente anche dopo il suo ritorno a San Pietroburgo. Dopo la morte della zarina le sue speranze per un cambiamento verso riforme progressiste furono alimentate brevemente. Sotto il governo di Alessandro I Radiščev fu addirittura invitato a lavorare nella commissione per redigere la nuova legislazione civile, ma dopo solo un anno ebbe un esaurimento nervoso e si suicidò. Le sue idee tuttavia continuarono a germogliare e Radiščev diventò fonte di ispirazione per i rivoluzionari socialisti e per i bolscevichi, che lo consideravano un eroe e un precursore della politica radicale.
Immagine: briefly.ru