I livelli di inquinamento del Danubio (e della Sava) a Belgrado sono preoccupanti: alle microplastiche, i fertilizzanti e gli antibiotici che affollano il fiume lungo tutto il suo corso si aggiungono, qui, gli scarichi diretti delle acque reflue della capitale.
Gli scarichi nel fiume
Un terzo di Belgrado, una citta di oltre un milione e mezzo di abitanti, non è collegata ad alcun impianto di depurazione – un pò come se tutta Genova riversasse ogni cosa direttamente in mare: nel Danubio sono ben 136 gli scarichi diretti, ma non va molto meglio alla Sava dove gli scarichi sono 116. Il resto è gestito con fosse settiche che vengono periodicamente svuotate dai camion degli spurghi che sversano poi il loro contenuto direttamente nelle acque del Danubio.
Un video circolato in questi giorni sui camion intenti a svolgere (legalmente) questa operazione ha rinfocolato le polemiche riaccendendo i riflettori su una questione che è invece ben nota da anni. Sono 190 i milioni di metri cubi (quasi due miliardi di litri, per capirsi) di liquami che annualmente vengono “regolati” in questa maniera a Belgrado ed è questo flusso spaventoso e maleodorante che fa sì che, in questo tratto, il Danubio presenti una concentrazione di particelle batteriche stabilmente oltre i 500 microgrammi per litro, il valore soglia considerato dannoso per la salute umana.
Una condizione che oltre all’evidente nocività, ha avuto, secondo quanto testimoniato dai pescatori locali, un rilevante impatto ecologico con la parziale sostituzione della fauna ittica a vantaggio di specie che si nutrono di sostanze organiche di qualsivoglia natura, come i pesci gatto.
I ritardi e le promesse non mantenute
Le promesse fatte dal governo serbo anni fa per risolvere il problema entro il 2020 sono rimaste lettera morta; una questione che rischia di avere ripercussioni pesanti anche sul percorso di adesione del paese all’Unione europea. Oggi quelle stesse promesse sono state reiterate e posposte addirittura al 2029. Nell’agosto dello scorso anno il vicesindaco di Belgrado, Goran Vesić, aveva annunciato che i lavori per la costruzione del depuratore di Veliko Selo – un insediamento suburbano di Belgrado a est della capitale – sarebbero iniziati nell’autunno del 2019; sebbene le autorità di Belgrado abbiano firmato a gennaio di quest’anno un accordo di inizio attività con la compagnia cinese CMCE (China Machinery Engineering Corporation), le stesse sono, ad oggi, ancora bloccate per l’impossibilità di trovare i 285 milioni di euro necessari per lo sviluppo della prima fase, su un importo complessivo stimato in circa 600 milioni. Stesso destino per altri due impianti, a Batajnica e Ostružnica, quest’ultimo sulla Sava: annunciati da tempo, ma gli 80 milioni di euro necessari ancora non ci sono.
Visto in quest’ottica non è ben chiaro dove e come la Serbia potrà trovare gli oltre 5 miliardi di euro necessari per il completamento dell’atteso piano nazionale che, secondo quanto dichiarato dal presidente Aleksandar Vučić in persona, dovrebbe prevedere la messa in opera di impianti di depurazione dei reflui e sistemi fognari in ben 70 comuni.
Un problema più generale
Il Danubio, però, non è un problema solo a Belgrado o Novi Sad, seconda città serba per popolazione, ubicata nel nord del paese e anch’essa attraversata dal fiume. Con i suoi 2.800 chilometri di lunghezza, gli 800 mila chilometri quadrati di bacino idrografico (il 10% della superficie europea, 80 milioni di persone), e i dieci paese attraversati, il Danubio è, in Europa, secondo solo al Volga. Ma stando ai risultati di uno studio presentato nel maggio del 2019 dall’Università di New York, il Danubio è primo nel continente per inquinamento, quantomeno per quello derivante dall’uso di antibiotici. La metà delle 14 sostanze ricercate dagli studiosi americani sono risultate eccedenti la soglia di rischio per la salute.
Non solo antibiotici, oltretutto. Il Danubio è anche afflitto dalle microplastiche – uno studio pilota calcola che circa 40 tonnellate di polietilene e polipropilene attraversino il confine austriaco ogni anno – oltre che dai pesticidi e dai fertilizzanti utilizzati in agricoltura che portano all’eutrofizzazione delle acque (esaurimento dell’ossigeno) e alla conseguente crescita delle alghe e all’asfissia degli organismi. Su quest’ultimo aspetto, tuttavia, mostra un cauto ottimismo Ivan Zavadsky, esperto della Commissione internazionale per la protezione del bacino fluviale del Danubio (ICPDR), che riporta una diminuzione di fosforo e azoto – sostanze tipicamente associate ai fertilizzanti – del 50% e del 20%, rispettivamente, negli ultimi 20 anni.
Più in generale la situazione sembra aggravarsi di concerto con l’andamento del fiume, man mano che si procede da monte al suo sbocco naturale nel Mar Nero. Così se in Austria e Ungheria le cose sembrano andare meglio grazie alle politiche ambientali portate avanti negli ultimi anni – in Ungheria, ad esempio, si è molto investito soprattutto grazie a fondi UE nel moderno impianto centrale di Budapest, adiacente alle rive vicino al ponte Ràkóczi – lo stesso non si può dire per Romania e Bulgaria, oltre che per la Serbia, dove si osserva un irrisolto arretramento infrastrutturale.
Un dramma che non è servito
Nel gennaio del 2000 la rottura di un invaso artificiale nella miniera d’oro di Aurul, in Romania, provocò lo sversamento nel fiume Tibisco – e da lì nel Danubio, ove confluisce – di circa 100 mila metri cubi di acque fortemente contaminate da cianuro. Fu proprio il tratto serbo del Danubio a patire le conseguenze più drammatiche e a Belgrado è ancora vivo il ricordo di quel dramma e dell’onda galleggiante delle tonnellate di pesce morto. Oggi, con ogni probabilità, a Belgrado ci si “accontenterebbe” di avere un sistema di gestione delle acque di scarico degno di questo nome e degno di una capitale europea.
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