Mercoledì 16 settembre, il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha riunito ufficiali, politici ed esperti al Palazzo dell’Indipendenza a Minsk. Scopo dell’incontro quello di informarli sullo stato della nazione e delle proteste che stanno portando da oltre un mese la Bielorussa al centro del ciclone mediatico. Durante l’incontro, Lukashenko ha puntato il dito principalmente contro gli Stati Uniti e la loro strategia mediatica.
Il discorso di Lukashenko
Secondo il presidente, le proteste della popolazione bielorussa non sarebbero altro che il frutto di un disegno sovversivo sobillato da attori esterni. I principali accusati sarebbero gli Stati Uniti, ma Lukashenko non si è trattenuto dal puntare il dito anche contro la Polonia, la Repubblica Ceca, la Lituania (la quale ha riconosciuto Svetlana Tichanovskaja come la presidente legittima della Bielorussa) e l’Ucraina.
Il presidente bielorusso ha, quindi, evidenziato come tali paesi, applicando alla lettera le teorie del politologo Gene Sharp (i cui libri hanno influenzato in parte lo sviluppo delle rivoluzioni colorate), stiano favorendo un rovesciamento del regime. Tale strategia sarebbe costituita da sette semplici step. Innanzitutto, gli attori esterni agiscono tramite nuove tecnologie di influenza indiretta, quali i canali Telegram o YouTube (il candidato alle presidenziali bielorusse, Sergei Tichanovskij – arrestato a maggio 2020 – è un videoblogger). Questi mezzi di comunicazione, infatti, avrebbero spinto maggiormente i giovani bielorussi a insorgere contro il regime e a formare i primi gruppi giovanili di opposizione. Non a caso il “Fronte dei Giovani” ha sede proprio in Repubblica Ceca.
Secondo Lukashenko, durante la campagna elettorale, i mezzi di comunicazione e le piattaforme online hanno portato all’estremo l’attacco mediatico al governo, con una larga diffusione di meme e di video contro Lukashenko stesso. In seguito, l’opposizione e la popolazione sarebbero passate dalle parole alla violenza, causando ferite e contusioni alle forze dell’ordine. Infine, una volta intervenute quest’ultime, la strategia dell’opposizione sarebbe cambiata al fine di ottenere maggiore visibilità mediatica a livello internazionale. Le proteste pacifiche e l’istituzione del Consiglio di Coordinamento non sarebbero altro che l’ultima espressione di questa nuova tattica.
Tuttavia, Lukashenko ha screditato qualsiasi possibilità che tale strategia possa portare al crollo del suo governo. “Sappiamo chi sono gli architetti [della rivolta], chi vuole qualcosa in Bielorussia; pertanto, non ci rilassiamo e restiamo pronti a rispondere a qualsiasi sfida”, ha infine tuonato il presidente bielorusso.
Dalle parole ai fatti
Lukashenko è subito intervenuto anche da un punto di vista pratico. Da una parte sta cercando di ottenere piena fiducia da parte del presidente russo Vladimir Putin. Infatti, in seguito all’incontro di lunedì 14 settembre tra i due capi di Stato, Putin ha concesso un prestito di 1,5 miliardi di dollari a Minsk al fine di sostenere l’economia bielorussa dalle conseguenze economiche del Covid-19.
Dall’altra parte, Lukashenko sta cercando di fare ancora una volta piazza pulita dell’opposizione. Marija Kolesnikova è stata accusata di aver messo in pericolo la sicurezza nazionale tramite l’utilizzo di piattaforme online. La pena che potrebbe esserle comminata ammonterebbe fino a cinque anni di reclusione. Inoltre, gli ex-ambasciatori bielorussi in Francia, Pavel Latusho, e in Slovacchia, Igor Leshchenya, sono stati privati del rango di “Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario”. Il primo era membro del Consiglio di Coordinamento dell’opposizione, il secondo aveva espresso critiche nei confronti dell’eccessiva violenza delle forze dell’ordine nei confronti della popolazione. Ha subito la stessa sorte anche l’attuale ambasciatore bielorusso a Riga per “adempimento improprio dei doveri di servizio”.
Nonostante la repressione da parte del regime di Lukashenko, la proteste continuano. Sabato 19 settembre, migliaia di bielorusse hanno marciato pacificamente per le strade di Minsk chiedendo le dimissioni del presidente bielorusso. Tuttavia, ancora una volta, le forze dell’ordine sono intervenute e hanno arrestato più di trecento persone, tra cui anche Nina Baginskaya, una signora di settantatré anni divenuta nota per la tenace opposizione al regime. Baginskaya, infatti, era stata già più volte arrestata per aver pubblicamente sventolato il tricolore biancorosso, uno dei simboli delle proteste contro Lukashenko.
La reazione del Parlamento Europeo
Dopo lo stallo creatosi all’interno del Consiglio dell’UE per l’adozione di sanzioni nei confronti del presidente Lukashenko, il Parlamento Europeo ha preso una chiara posizione. Il 17 settembre, infatti, l’Europarlamento ha dichiarato che non riconoscerà più Lukashenko come il legittimo capo di stato bielorusso dal 5 novembre 2020, giorno in cui il suo mandato presidenziale terminerà. Inoltre, oggi 21 settembre, la commissione per gli Affari Esteri del Parlamento Europeo e il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, discuteranno con la leader dell’opposizione Svetlana Tichanovskaja sugli ultimi sviluppi delle proteste e delle repressioni in Bielorussia.
Tale presa di posizione da parte del Parlamento Europeo è stata fortemente criticata dal ministro degli Affari Esteri bielorusso, Vladimir Makei, e dal portavoce della Duma russa, Vyacheslav Volodin. Quest’ultimo ha infatti affermato che “la dichiarazione che è stata adottata rappresenta non soltanto una palese interferenza negli affari di uno stato sovrano, ma anche un tentativo di soppiantare il popolo bielorusso”.
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Foto: eng.belta.by