La nomina governativa di Attila Vidnyánszky a direttore del consiglio di amministrazione dell’Università delle arti teatrali e cinematografiche (SzFE) ha portato all’occupazione dell’istituto, fra la solidarietà di altri enti culturali e migliaia di ungheresi. Un segnale preoccupante per Orbán che dopo il clamore suscitato dal caso «Index.hu» deve gestire la difficile situazione pandemica nel paese. Qualcosa scricchiola in Orbánlandia?
La premessa
L’incipit della storia sembra sempre lo stesso: prendete un’istituzione che mantiene troppa autonomia e libertà di critica e un esecutivo che mal tollera tutte le voci dissonanti. Aggiungete un forte accentramento del potere politico in mano all’esecutivo e una società civile che sembra aver accettato l’ingerenza dello stesso. Se poi alla guida del partito di governo vi è un politico fine quale Viktor Orbán, è chiaro quale sarà il risultato. Se l’ente è impossibile da conquistare verrà ostracizzato, altrimenti, se vi è la possibilità sarà inserito in una cornice nella quale perderà la propria indipendenza economica e verrà assoggettato al governo. Così è successo in casi ormai divenuti tristemente noti anche fuori dal paese, come quello della CEU, dell’Accademia delle scienze o dell’Istituto 1956.
Quando il potere politico in Ungheria prende di mira un’istituzione insomma, lo fa sul serio, e colpisce bene. Così, quando nel dicembre del 2019 il nuovo manifesto della politica culturale della FIDESz inquadrava come obiettivo l’universo del teatro ungherese, era chiaro che ben presto sarebbe accaduto qualcosa. Le acque si sono mosse nel giugno del 2020, quando è stata la SzFE – Università del cinema e del teatro della capitale – a finire sotto la lente governativa, attraverso il progetto di ristrutturazione dell’istituto e il passaggio dal settore pubblico a quello privato, inquadrandolo all’interno di una fondazione dove comparivano diversi esponenti del partito di governo. Una proposta ufficialmente volta a garantire maggiori introiti alla SzFE, ma duramente contestata da studenti e professori, che ne hanno visto un tentativo di porre un limite all’indipendenza dell’ente. Che queste siano le reali intenzioni dell’esecutivo non è in discussione: nell’estate lo stesso membro della FIDESz, István Hollik, ha confessato che l’università non è idonea alla trasmissione dei pilastri dell’identità nazionale, rendendo necessaria una svolta nella sua gestione.
L’offensiva contro la SzFE
Le prime proteste contro la nuova politica culturale hanno raccolto un grande seguito e, già a fine giugno, una manifestazione coinvolse 500 persone, trovando appoggio in importanti nomi della cultura ungherese, come il regista Béla Tarr. Ciononostante, le richieste dei dimostranti sono state rigettate dal ministro per l’Innovazione e la Tecnologia László Palkovics il quale, rifiutando il dialogo, ha chiarito che il governo non intendeva procrastinare l’entrata in vigore della riforma, prevista per il primo settembre.
Il 31 agosto il senato accademico, data l’incompatibilità delle sue funzioni con il nuovo ordinamento, ha deciso di dimettersi accusando la riforma di impedirne il corretto operato, mentre una dimostrazione organizzata davanti alla sede dell’ateneo (in Vas utca) diventava il seme dell’occupazione dell’edificio, attuata da circa 250 studenti. Una svolta radicale, in un paese dove le università semplicemente non si occupano.
Nel frattempo la protesta ha finito per riscuotere largo successo in tutto il resto del paese, sottoscritta dall’Istituto Károly Eötvös, dalla CEU, dalla MOME, dall’Università di arti Moholy-Nagy, dall’Università di studi cinematografici e arti visive di Pécs, cittadina dell’Ungheria meridionale dove si è tenuta anche una protesta pubblica. Senza contare i messaggi di solidarietà che sono pervenuti dall’estero, come dal teatro Berliner Ensemble, e dal carpet del Festival del cinema di Venezia, dove portavoce dei diritti dellUniversità del cinema e del teatro è stato il regista Kornél Mundruczó, in gara alla rassegna.
E ora?
In questo clima, il 6 settembre una nuova manifestazione ha attraversato il centro di Budapest coinvolgendo – secondo le stime del portale d’opposizione «Mérce» – circa 10.000 persone, che hanno formato una catena umana di diversi chilometri collegando la sede dell’Università al parlamento, facendo arrivare nel cuore del potere politico la “charta della SzEF” al ritmo del canto Szabad ország, szabad egyetem (Paese libero, università libera).
Insomma, Budapest è in subbuglio, e anche il sindaco della capitale Gergely Karácsony dimostra la sua approvazione per l’operato degli studenti, esempio vivente che davanti alla prova di forza del governo sia possibile rispondere, invece che piegarsi. Un’opinione condivisa anche dal portale d’informazione «444.hu», che ha parlato dei recenti casi di «Index.hu» e dell’Università del cinema e del teatro come di simboli che mostrano il coraggio che fino ad ora è mancato nel paese.
Ora arriva la parte più difficile: Orbán ha già dovuto gestire ondate di malcontento e pubbliche proteste, ma ne è sempre uscito indenne, complice anche la buona situazione economica ungherese. Che il Covid e le difficoltà siano la scintilla per una vera crisi politica anche in Orbánlandia?
Foto: Azonnali.hu