Nei convulsi anni che seguirono la grande guerra, mentre montava il mito della “vittoria mutilata” e si preparava il ventennio fascista, l’esercito italiano si trovò ad occupare una serie di territori al di fuori della penisola, nell’attesa di trattati di pace che definissero in maniera finale l’esito del conflitto. Oltre all’occupazione della costa e delle città della Dalmazia, un corpo di spedizione italiano venne inviato in Anatolia, dove tra il 1919 e 1922 occupò la città costiera di Adalia (Antalya) e la regione circostante. Assieme alla Francia, l’Italia ebbe un ruolo importante nel sostenere la nascente Repubblica Turca.
Prevenire la “vittoria mutilata”: la spedizione militare italiana in Anatolia
Con il Patto di Londra del 1915 l’Italia aveva negoziato in cambio dell’intervento a fianco della Triplice Intesa – in aggiunta al Trentino-Alto Adige fino al confine del Brennero, alla Venezia Giulia e alcuni territori della Dalmazia – anche altri compensi territoriali nel caso di uno smembramento dell’impero ottomano. Tra questi, il porto di Adalia in Anatolia e il territorio contiguo, dove era segnalato un bacino carbonifero.
Con l’armistizio di Mudros del 30 ottobre 1918, l’Impero Ottomano aveva accettato le condizioni dettate dalle potenze vincitrici; in Italia, dove già maturava l’idea della vittoria mutilata, si temeva di vedere delusa anche questa clausola del Patto di Londra.
Il 13 novembre 1913 Istanbul, capitale dello sconfitto impero ottomano, veniva divisa in settori di occupazione dagli alleati: agli italiani venne affidato quello anatolico di Üsküdar e Kadiköy, mentre Pera e Galata andavano agli inglesi e la penisola storica di Stambul ai francesi.
In questo clima, il 9 marzo 1919, il governo Orlando fece sbarcare un corpo di spedizione italiano ad Adalia, per un totale di 12.000 soldati. In breve tempo furono occupate anche le località vicine: Makri Budrun, Kuch-Adassi, Alanya, Konya, Ismidt e Eskişehir.
La controversia italo-greca e lo sbarco greco a Smirne
Questa prova di forza trovò la ferrea opposizione del governo greco – non legato al Patto di Londra – guidato da Eleutherios Venizelos, che aspirava ad occupare larga parte dell’Anatolia sulla base del sogno della Megali Idea (la “grande Grecia”, dall’Epiro a Bisanzio all’Asia minore).
Alla conferenza di pace di Parigi la delegazione italiana, stupefatta che i suoi «interessi in Vicino Oriente» non venissero più riconosciuti dalle altre grandi Potenze, decide di abbandonare il tavolo dei negoziati. Durante l’assenza degli italiani, che dura fino al 5 maggio, il primo ministro britannico David Lloyd George convince Francia e Stati Uniti a permettere ad Atene di intervenire sulla costa egea orientale. Il 15 maggio 1919 l’esercito greco sbarca a Smirne e procede ad occupare anche le città di Aydin, Magnesia, Kassaba, Ayalik ed Edemieh.
Tra il governo italiano e quello greco sorse un’aspra controversia, poi risolta con un accordo segreto sottoscritto il 29 luglio 1919 da Tittoni e Venizelos, in cui l’Italia rinunciava a Adalia e alle isole del Dodecanneso salvo Rodi, in cambio dell’appoggio greco ad un “mandato” italiano sull’Albania. Tale accordo, peraltro, fu denunciato nemmeno un anno dopo, nel giugno 1920, dal nuovo Ministro degli esteri italiano Carlo Sforza.
Nel frattempo, in ciò che restava dell’Impero ottomano, l’occupazione greca comporta il risorgere del sentimento patriottico e la nascita di un governo rivoluzionario guidato da Mustafa Kemal, che si oppone ferocemente alla spartizione dell’Anatolia.
Il Trattato di Sèvres e la guerra greco-turca
La Conferenza di Pace di Parigi si articolò in una serie di trattati con le nazioni sconfitte. Con l’Impero Ottomano si arriverà al trattato di Sèvres (10 agosto 1920), che riconobbe una zona di penetrazione economica italiana ad Adalia e dintorni, oltre al possesso del Dodecaneso, e l’occupazione greca di Smirne e dintorni.
Con l’espandersi della Guerra greco-turca (1919-1922), i rivoluzionari turchi ottennero un’importante assistenza militare dell’Italia, che utilizzò la base di Adalia per armare e addestrare le truppe di Mustafa Kemal “Atatürk”, oltre a fornir loro informazioni riguardo le forze del governo greco, considerato ormai un cliente del Regno Unito.
Nel marzo 1921, il governo rivoluzionario turco può così concentrarsi nell’offensiva contro le forze greche. In autunno Francia e Italia firmano trattati di pace separati con i rivoluzionari turchi e riconoscono a questi ultimi il possesso dei territori precedentemente disputati, accettando inoltre di vendere armi agli antichi avversari per contrastare il governo greco. Ad Adana, in Cilicia, la Francia costruisce una fabbrica di munizioni per approvvigionare l’esercito rivoluzionario kemalista, oltre a cedere loro 10.000 uniformi, 10.000 fucili mauser, 2.000 cavalli, 10 aerei Bréguet e un centro telegrafico. A sostegno dei rivoluzionari turchi intervengono anche i sovietici, con fondi e munizioni a seguito del trattato di Mosca del 1921, dopo la fine della guerra turco-armena.
La Repubblica Turca e il trattato di Losanna
Sotto scacco, i greci chiedono sostegno agli Alleati, ma Regno Unito, la Francia e l’Italia hanno ormai deciso che il Trattato di Sèvres non è più realistico e va rivisto. Entro l’autunno del 1922 Italia e Francia ritirano le proprie truppe dall’Anatolia, indebolendo ulteriormente la posizione di Atene.
Le forze di Mustafa Kemal si dirigono quindi a nord, verso gli Stretti ancora sotto controllo alleato. I britannici chiedono agli alleati di sostenere la resistenza dei greci (crisi di Çanakkale), ma Italia e Francia decidono invece il ritiro delle proprie posizioni, lasciando i britannici soli a fronteggiare i turchi. Lo scontro armato è sfiorato, ma alla fine Londra decide la ritirata, costringendo anche il battaglione greco ad abbandonare Bisanzio e attestarsi dietro il fiume Maritsa, in Tracia. Solo allora Mustafa Kemal accetta di aprire i negoziati di pace.
Dopo la vittoriosa guerra contro i greci e la costituzione della Repubblica Turca di Mustafa Kemal, il trattato di Sèvres fu annullato e sostituito dal trattato di Losanna (1923). In quest’ultimo atto, la Turchia confermava all’Italia il possesso del Dodecaneso e riconosceva per la prima volta la sovranità italiana sulla Libia, ma non le accordava nessuna zona oggetto di influenza economica né di occupazione militare in Anatolia.
Immagine: Ministero della Difesa