Sabato 5 settembre Serbia e Kosovo hanno firmato a Washington un accordo per normalizzare le proprie relazioni economiche. L’accordo è stato siglato alla Casa Bianca alla presenza del presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, che lo ha definito «storico». Alla luce dei punti – eterogenei e quasi tutti poco rilevanti – che compaiono nei documenti firmati dai due paesi balcanici, sembra però difficile definirlo un passo davvero importante per le future relazioni tra Belgrado e Pristina.
Cosa prevede l’accordo
L’accordo, di per sé, è rappresentato da una serie di patti bilaterali tra i due paesi e gli Stati Uniti, tanto è vero che il presidente serbo Aleksandar Vučić e il premier kosovaro Avdullah Hoti hanno firmato due documenti distinti, che recavano come intestazione «normalizzazione economica». A questa normalizzazione i due paesi hanno dato il loro consenso accettando i termini dell’accordo.
Tra questi, i più rilevanti per i due paesi sul piano pratico sembrano essere l’impegno a realizzare una ferrovia e di un’autostrada tra le due capitali, l’adesione al progetto di “mini-Schengen” balcanico proposto l’anno scorso da Belgrado, Skopje e Tirana, il mutuo riconoscimento di diplomi e certificati professionali – anche se non viene specificato in che modo – e l’apertura di una nuova dogana alla frontiera.
In cambio di alcuni vantaggi, da verificare nei prossimi mesi e anni, i due paesi si sono impegnati a fare alcune concessioni. Mentre entrambi si impegnano a contrastare la criminalizzazione dell’omosessualità nel mondo e ribadiscono la tutela della libertà religiosa, gli Usa incassano il riconoscimento della miliiza sciita libanese Hezbollah come un’organizzazione terroristica da parte di entrambi i paesi. Il Kosovo ottiene il riconoscimento internazionale come stato da parte di Israele, mentre la Serbia si impegna a spostare la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, primo paese europeo a farlo. Il Kosovo si impegna poi a non fare richiesta di ingresso in nessuna organizzazione internazionale per un anno; in cambio la Serbia dovrà sospendere la campagna contro il riconoscimento della sua ex provincia, per lo stesso arco temporale.
I punti più vaghi riguardano fonti di energia e 5G. Pristina e Belgrado si accordano per diversificare il proprio approvvigionamento energetico e per non installare e usufruire di tecnologie 5G. Quest’ultimo punto potrebbe mettere in difficoltà l’alleanza di Vučić con la Cina, grande investitore nel paese balcanico.
Le reazioni
I protagonisti dell’accordo hanno espresso pubblicamente la loro soddisfazione. Il premier kosovaro Hoti ha detto che si è trattato di un «grande momento per il Kosovo e per la regione», mentre il presidente serbo Vučić ha dichiarato che si tratta di un «significativo passo avanti» tra le due parti, sebbene non abbiano ancora risolto «i nostri problemi».
Tra molti analisti internazionali, dopo la diffusione del testo dell’accordo, è prevalso però lo stupore sia per i punti che sembrano non avere legami con la disputa tra Kosovo e Serbia, sia per il fatto che l’accordo che Trump aveva auspicato negli ultimi mesi sembrava dover essere molto più ambizioso di questo. Sulla stampa internazionale si era parlato di un possibile scambio di territori tra Pristina e Belgrado come viatico per arrivare a una normalizzazione dei rapporti e a un riconoscimento reciproco, ma di questo non vi è alcuna traccia.
Nel testo di sabato, soprattutto le decisioni relative al Medio Oriente hanno sollevato molte critiche. Il ministro degli esteri dell’Autorità nazionale palestinese ha denunciato la decisione di Kosovo e Serbia di aprire un’ambasciata a Gerusalemme come “un’aggressione ingiustificata alla popolazione palestinese”. La Turchia ha già chiesto a Kosovo e Serbia di ritirare questa decisione, perché in «chiara violazione del diritto internazionale», mentre il punto sulla diversificazione energetica potrebbe mettere in difficoltà le relazioni tra Serbia e Mosca.
Gli USA e l’Europa
Il tentativo di Trump di legare la questione Serbia-Kosovo (una questione tutta europea) alla sua politica verso Israele e il Medio Oriente mostra con tutta evidenza che il suo reale interesse è ben lontano dai Balcani. Trump aveva bisogno di un accordo come questo per rinforzare l’immagine di paciere delle contese internazionali che sta tentando di costruirsi per distrarre l’attenzione dai molti problemi interni, trasformando l’incontro in un evento funzionale alla sua campagna elettorale. Per quanto appare probabile che l’accordo finisca chiuso in un cassetto dello studio ovale se Trump dovesse perdere le elezioni a novembre, al momento si è assistito ad una prova di forza della diplomazia americana.
Da questa prova di forza emerge un punto interrogativo sul ruolo dell’Unione europea nella regione e sull’efficacia della sua diplomazia. Per quanto il piano europeo per Serbia e Kosovo corresse su binari paralleli a quello americano già da mesi, l’accordo di Washington mostra un sorpasso americano a danno della diplomazia europea. A giugno, l’inviato speciale degli Usa per il dialogo tra i due paesi, Richard Grenell, aveva detto che l’Europa si sarebbe concentrata sugli aspetti più politici di un futuro accordo, sottolineando di essere in contatto con Germania e Francia, i maggiori sponsor del dialogo. Sta ora a Bruxelles dimostrare cosa questo voglia dire in termini pratici.
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