Il 12 agosto 1944 a Sant’Anna di Stazzema, provincia di Lucca, le truppe naziste mettevano in atto uno degli eccidi più brutali compiuti in territorio italiano, con oltre cinquecento vittime. Lo stesso giorno, a circa 480 km più a sud, si svolgeva a Napoli un incontro tra due grandi protagonisti del conflitto: il primo ministro inglese Winston Churchill e il capo della resistenza jugoslava Josip Broz Tito. L’incontro avvenne a Villa Rivalta a Posillipo, requisita dagli inglesi dopo la liberazione della città e già utilizzata da Churchill per i suoi soggiorni all’ombra del Vesuvio.
Il contesto
La riunione si svolse in un momento delicato della guerra con il Terzo Reich già in estrema difficoltà. Nel luglio 1943 il suo alleato italiano, Benito Mussolini, era stato deposto. Un anno dopo, nel giugno 1944, gli anglo-americani sbarcavano in Normandia. Altrettanto complicata la situazione sul fronte orientale dove l’Armata Rossa continuava la sua inarrestabile avanzata. Con la Germania nazista ormai alle strette, le attenzioni degli alleati e dei sovietici si rivolsero verso uno degli scenari più delicati: quello jugoslavo. Entrambi gli schieramenti guardavano infatti con preoccupazione alle vicende militari in quella parte di Europa, non tanto per l’andamento generale della guerra quanto per gli equilibri tra i partigiani comunisti di Tito e il governo regio in esilio a Londra.
Churchill aveva a lungo appoggiato i cetnici guidati da Draža Mihailović, ministro della Guerra nel governo di Re Pietro II, salvo poi rendersi conto del loro collaborazionismo con le truppe italiane. Nel 1944 decise così di abbandonare definitivamente il suo alleato e sostenere «coloro che ammazzavano più tedeschi» (J. Pirjevec, Tito e i suoi compagni, 2015, p.128): i partigiani di Tito. Nonostante l’avvicinamento, tra i due rimase sempre un certo scetticismo. Il primo ministro inglese non si fidava troppo di un comunista alleato di Stalin. Da parte sua Tito, pur cosciente della necessità di ottenere il sostegno inglese, continuava a considerarli imperialisti interessati a tenere in piedi la monarchia per poter esercitare la propria influenza in Jugoslavia.
Anche Stalin aveva i suoi motivi per guardare con poca fiducia all’ascesa di Tito, la cui politica era considerata da Mosca troppo indipendente. Il leader sovietico, per non mettere in allarme gli alleati inglesi, si impegnava costantemente a garantire loro che non avrebbe appoggiato una rivoluzione socialista in Jugoslavia.
Costretto ad una temporanea fuga dal campo di guerra, Tito venne ospitato dagli inglesi nell’isola di Lissa. Lì, pochi giorni prima di fare visita a Churchill, incontrò il nuovo rappresentante del governo in esilio, Ivan Šubašić, con cui raggiunse un accordo di cooperazione militare e una prima intesa sul futuro della Jugoslavia. Entrambi convennero per un’organizzazione federale dello stato e il rinvio a guerra finita della decisione sull’esistenza o meno della monarchia.
I temi dell’incontro
Ottenuto l’appoggio di tutti gli attori in gioco e forte dei successi raggiunti sul campo, Tito accettò l’invito di Churchill a Napoli. Il leader jugoslavo si presentò, in pieno agosto, con l’uniforme da Maresciallo «adatta al clima russo ma non certo a quello mediterraneo» (PIRJEVEC 2015, p.165). Più disinvolto il primo ministro Churchill con un leggero vestito bianco di lino. Secondo quanto raccontato da Fitzroy Maclean, inviato speciale per la Jugoslavia, durante il pranzo si rischiò un incidente che avrebbe potuto cambiare le sorti del mondo. Churchill, con il suo sigaro, fece finta di puntare una pistola allo stomaco di Tito. Le guardie del corpo del Maresciallo, armate fino ai denti, puntarono i loro fucili verso il primo ministro inglese. Solo la risata di Tito fece immediatamente calmare gli animi e il pranzo poté proseguire.
I due leader discussero del rapporto tra i partigiani guidati dal Partito Comunista e il governo regio in esilio. Nonostante l’accordo raggiunto tra Tito e Šubašić, Churchill era ben cosciente che i rapporti di forza erano fortemente sproporzionati in favore del primo. Per questo continuava a pretendere garanzie sulle intenzioni del Maresciallo per il dopoguerra. Tito, anche per non infastidire l’alleato sovietico, continuava a ribadire di non voler instaurare un regime comunista in Jugoslavia sapendo però che con la vittoria partigiana avrebbe giocato un ruolo fondamentale per le sorti del paese.
Qualche giorno dopo l’incontro, Tito rilasciò una dichiarazione in cui affermava che
«la leadership del Movimento di liberazione ha uno scopo: […] la creazione di una Jugoslavia democratica e federale, e non, come affermano i nostri nemici, l’affermazione del comunismo» (PIRJEVEC 2015, p.166)
In cambio ottenne aiuto militare in Istria, con la garanzia che a guerra finita sarebbe passata agli jugoslavi ad eccezione di Trieste, e soprattutto il riconoscimento da parte di Re Pietro II del suo ruolo di capo delle forze armate. Un riconoscimento che equivaleva ad un passaggio di consegne politiche. Tito, sostenuto dal Re, da Churchill e da Stalin, poteva ormai considerarsi il capo indiscusso della futura Jugoslavia.
L’incontro di Napoli non servì certo a trattare questioni fondamentali per il prosieguo della guerra. Belgrado si sarebbe liberata di lì a pochi mesi, mentre la Germania nazista aveva ormai le ore contate. Molte delle cose discusse e promesse a Napoli rimasero valide per un lasso di tempo piuttosto ristretto. L’incontro ebbe però una conseguenza evidente: l’elevazione di Josip Broz Tito da capo della resistenza jugoslava a leader politico mondiale, da tenere in considerazione per il nuovo assetto europeo del dopoguerra.
Immagine: “Tito e Churchill a Napoli, 12 agosto 1944”