Quarant’anni fa nasceva Solidarność, il primo sindacato indipendente a est della Cortina di ferro. A seguito delle proteste esplose nei cantieri navali “Lenin” di Danzica, il movimento di lavoratori guidato da Lech Wałęsa riuscì a istituzionalizzarsi, minando per diversi mesi le fondamenta e i rapporti di potere che caratterizzavano la Polonia comunista dell’epoca, prima di essere represso dal colpo di stato del generale Wojciech Jaruzelski nel dicembre del 1981.
Per capire la portata epocale della formazione di Solidarność basta pensare che, dalla fine degli anni ’40, i sindacati dell’Europa centro-orientale erano stati agenti passivi dei rispettivi partiti comunisti, formazioni prive di ogni capacità di azione dal basso, “scuole di comunismo” che avevano finalità propagandistiche e complementari al funzionamento del sistema produttivo.
La reazione della Cgil in Italia
In Italia, oltre al supporto dei sindacati cattolici e socialdemocratici, Solidarność si guadagnò la stima e l’appoggio della classe dirigente della Cgil, che espresse una convinta adesione alle richieste dei lavoratori polacchi.
A questa sostanziale fiducia espressa dai dirigenti nazionali si contrappose, in ampi settori della base del sindacato, una netta presa di posizione a favore del colpo di stato guidato da Wojciech Jaruzelski e del ritorno ai pieni poteri del Poup (Partito operaio unificato polacco). Questi iscritti, ben lontani dal processo di affrancamento dall’Urss intrapreso dalla classe dirigente dopo la rivolta di Budapest del 1956, rifiutavano di allinearsi all’interpretazione fornita dai quadri del sindacato.
Affinché si affermino nel mondo società di uomini liberi ed eguali
Nel dicembre del 1982, un anno dopo il colpo di stato che aveva portato al governo Wojciech Jaruzelski, i dirigenti sindacali della Cgil a vari livelli territoriali, insieme ai componenti dei Consigli di fabbrica dei più importanti complessi industriali italiani, produssero un documento finalizzato a chiarire la posizione di una consistente parte degli iscritti riguardo i fatti polacchi:
Affinché si affermino nel mondo società di uomini liberi ed eguali, un messaggio di operai e dirigenti sindacali di numerose fabbriche del nostro paese
Archivio storico CGIL, Roma, 20 dicembre 1982, in Raccolta Circolari 1982
La retorica e le parole chiave utilizzate erano le stesse propugnate dal governo polacco e dalle autorità sovietiche e non concedevano nessun margine per un approccio solidale con Solidarność. A quest’ultimo non veniva riconosciuta nessuna autorità di rappresentanza e nessuna legittimità storica. La sua sopravvivenza veniva percepita dai firmatari del messaggio come un pericoloso elemento di avvicinamento al modello capitalista.
La base della Cgil, pur mantenendo posizioni dogmatiche sull’operato del Poup, aprì quindi dubbi sulla lettura del fenomeno fornita dai vertici dell’organizzazione, accusata peraltro di non ascoltare la “voce dei lavoratori e dirigenti a vari livelli della base o intermedi”, a dispetto della volontà manifesta di conferire maggiori spazi alla partecipazione democratica interna.
Il paradosso dei vertici della CGIL era questo: mentre esprimevano la necessità di una maggiore partecipazione democratica degli organismi sindacali nell’Europa orientale, in Italia escludevano dal dibattito una bella fetta degli iscritti. Perché? Una risposta si può azzardare seguendo la tesi esposta dal filosofo Slavoj Žižek nel suo libro Come un ladro in pieno giorno, dove l’autore individua il “problema” del marxismo occidentale nel soggetto rivoluzionario (la classe operaia) non sufficientemente motivato.
Il comunismo italiano, e così la sua principale formazione sindacale, la Cgil, era in quegli anni alla ricerca di un soggetto “esterno” che potesse appunto agire in senso rivoluzionario, sostituendosi ad una classe operaia “interna” malconcia e delusa (si ricordi che nell’ottobre del 1980 fu organizzata la marcia dei quarantamila quadri FIAT, un’epocale sconfitta per la CGIL). Se nel cosiddetto Terzo mondo e in Sud America gli agenti rivoluzionari venivano identificati nelle masse di contadini poveri o nei movimenti di liberazione nazionale, a svolgere questa funzione nell’Europa orientale furono gli studenti e gli intellettuali che orbitavano intorno al pianeta del marxismo revisionista.
Solidarność, speranza di un socialismo nuovo (?)
Quando, tra l’agosto e il settembre del 1980, a guidare le proteste in Polonia furono masse oceaniche di operai, il potenziale agente di cambiamento “esterno” diventava finalmente coerente con la natura del sindacato. Autogestione operaia, democratizzazione della società e partecipazione dei lavoratori nel processo decisionale: questi alcuni dei punti fermi del sindacato polacco che non si trovavano in contraddizione con la Cgil e che, anzi, rendevano coerente il supporto del sindacato italiano alla causa dei lavoratori polacchi. Ma queste affinità non furono le uniche cause dell’avvicinamento a Solidarność.
Un altro elemento, più nascosto, portò i dirigenti del sindacato italiano a sostenere con convinzione i lavoratori polacchi: per la prima volta in una “democrazia popolare” un sindacato riusciva a diventare protagonista indiscusso della scena politica, oltre che agente del cambiamento sociale ed economico. Tutto questo accadeva in un sistema governato da un solo partito dove fino a pochi mesi prima i sindacati svolgevano il ruolo di cinghie di trasmissione di quel partito.
Solidarność non poteva che essere un attore stimato e in un certo senso invidiato dai quadri nazionali della Cgil, che pur agendo in un contesto politico più libero rispetto al sindacato polacco perdeva progressivamente efficacia nell’azione sindacale contro gli industriali, oltre che il contatto e la fiducia dei suoi iscritti.
La terza via
In ragione di quanto detto, il perché del sostegno della Cgil a Solidarność risulta comprensibile. L’appoggio era in linea non solo con il percorso di affrancamento dall’Urss a livello internazionale, ma anche con l’idea promossa dalla Cgil di un sindacato libero, indipendente dal partito e attore cruciale in ambito sociale ed economico.
Quello che risulta meno comprensibile fu la volontà di inserire (forzatamente) Solidarność nel paradigma della “terza via”, un’alternativa sia al sistema sovietico che a quello americano. Un modello che aveva catalizzato, dalla fine degli anni ’70, buona parte del dibattito interno alla Cgil tra l’ala socialista e quella comunista. Modello che per il sindacato guidato da Luciano Lama doveva essere europeista, pacifista e socialista.
Fu proprio questo l’errore dei vertici del sindacato italiano: considerare Solidarność un agente in grado di dare nuova linfa vitale al claudicante movimento socialista europeo. Un’interpretazione corrotta da uno slancio ideologico che aveva poco a che fare con la realtà delle cose e che la base del sindacato non condivise.
La Polonia dal 1990 ad oggi. Quale terza via?
La storia della Polonia dal 1990 a oggi ci racconta qualcosa di profondamente diverso da quanto immaginato dai dirigenti nazionali della Cgil. La classe operaia polacca è stata sì protagonista del cambiamento politico, ma certamente non in senso socialista, essendo profondamente divisa ed eterogenea nella sua composizione ideologica fin dall’inizio dell’esperienza di Solidarność, dove convivevano nazionalisti, liberali, cattolici democratici e (ben pochi) socialisti, perlopiù presenti tra gli intellettuali.
Nella Polonia post-socialista l’autogestione delle fabbriche pensata da Solidarność e caldeggiata dalla Cgil non è mai stata realizzata e ha lasciato presto spazio a imponenti politiche di privatizzazione (piano Balcerowicz) che hanno determinato un aumento della disoccupazione, il peggioramento delle condizioni di vita degli operai e l’esodo di milioni di polacchi, andati a ingrossare le fila della forza lavoro di riserva in Gran Bretagna e Germania. Più che un modello ibrido tra il libero mercato e l’economia pianificata, il modello seguito dalla Polonia è stato quello capitalista neoliberista, e l’entrata nell’UE nel 2004 non ha cambiato questa traiettoria.
Della “terza via” a cavallo tra capitalismo e socialismo, in Polonia non c’è mai stata traccia. Le politiche sociali più efficaci a sostegno dei lavoratori sono state messe in atto dalla destra sociale e cattolica del PiS (Diritto e Giustizia), che ha occupato lo spazio politico lasciato da una sinistra inconsistente ormai priva di una bussola ideologica, mentre a contrastare l’estrema destra nelle elezioni politiche c’è un partito di centrodestra neoliberista e cattolico, Piattaforma Civica (PO). Crollato il vecchio sistema, non solo la Polonia non è diventata alfiere di un socialismo dal volto umano, pacifista ed europeista, ma è oggi roccaforte dell’estrema destra euroscettica a cui si contrappongono, dall’altra parte, neoliberisti cattolici di centro.
In conclusione, nessuna delle due anime del sindacato italiano riuscì a vedere con lucidità la complessità del fenomeno in corso: la base rimase limitata nei suoi giudizi da un’impostazione fideistica nei confronti del socialismo reale, mentre i vertici del sindacato costrinsero Solidarność in un universo di senso che non gli apparteneva (quello socialista). Tuttavia, a conti fatti, l’attuale quadro politico ed economico polacco somiglia di più a quello ipotizzato dalla base della Cgil, piuttosto che dai suoi dirigenti.
Foto: ANSA